Alessandro Sallusti lascia Il Giornale. La notizia, anticipata da Dagospia, ha colto di sorpresa anche gli stessi giornalisti del quotidiano. Un po’ perché, negli ultimi dei suoi 12 anni di direzione, le sue dimissioni erano state più volte evocate, senza che mai nulla si concretizzasse. Sallusti, nell’ordine, veniva dato come candidato di Forza Italia alle Politiche, poi candidato sindaco di Milano. Infine, sicuro partente in virtù di una ritrovata intesa con Vittorio Feltri, cui lo lega quel rapporto di odio-amore, che gli psicanalisti chiamerebbero uccisione-esaltazione del padre, in questo caso professionale. Ed è infatti con Feltri che Sallusti ha deciso di tornare. Con un’offerta di quelle che non si possono rifiutare gli Angelucci lo hanno convinto, mettendo sul piatto anche la direzione editoriale del Tempo, primo passio di un progetto destinat a unificare le redazione, qualcosa di molto simile a quello fatto anni orsono da Andrea Riffeser con QN, Quotidiani Nazionali, che raggruppano Nazione, Giorno e Resto del carlino. Ma per la rapidità con cui sono maturate, le dimissioni di Sallusti hanno veramente sorpreso tutti. In primis perché dopo tanti falsi allarmi si sono verificate.
L’addio di Sallusti al Giornale: parte la corsa all’esegesi
Poi perché è partita la corsa all’esegesi. Perché adesso, in un momento in cui la pubblicazione del libro intervista a Palamara ne ha aumentato lo spessore e la visibilità? Cosa ha in mente? Domande che solo nella tarda serata di giovedì 13 maggio hanno trovato. Mentre nel pomeriggio circolavano le voci e le interpretazioni più disparate, anche tra i redattori de Il Giornale. Lo fa perché non vuole essere lui a firmare il massiccio piano di tagli post pandemici di cui il bilancio della casa editrice (come di tutte, del resto) necessita. Lo fa perché le sirene di Feltri che lo ha (ri)chiamato erano tali che lui non ha potuto resistervi.
Sallusti lascia anche perché l’esperienza politica di Berlusconi è arrivata al capolinea
Ce n’è una terza, ed è forse quella che ha determinato la sua decisione di smettere e di cambiare editore. L’esperienza politica di Berlusconi è davvero arrivata al capolinea, e senza una guida Forza Italia è un partito destinato a scomparire nella diaspora dei suoi rappresentanti. Altre volte, quando Sallusti manifestava insofferenza, da Arcore arrivava la telefonata che lo convinceva a restare, magari promettendogli magnifiche sorti e rinnovato sostegno al suo giornale. Oggi, purtroppo, Berlusconi non è ad Arcore ma al San Raffaele: e quella telefonata che altre volte ne bloccava e rabboniva le intenzioni non può arrivare.