Secondo giorno del processo per gli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi. Presente anche Salah Abdeslam, il “decimo uomo”, l’unico sopravvissuto del commando che in diversi attacchi – al Bataclan, davanti allo Stade de France e in alcuni locali della Capitale francese – uccise 130 persone ferendone oltre 400. Abdeslam quella notte accompagnò i tre kamikaze allo Stade de France e poi si diresse verso il 18esimo arrondissement senza farsi esplodere, a differenza del fratello Brahim. Lasciò infatti la cintura esplosiva a Montrouge (Hauts-de-Seine) e, con l’aiuto di due complici, fuggì in auto in Belgio.
Abdeslam in Aula attacca chiedendo conto delle vittime di Siria e Iraq
Il super imputato da dietro il box in vetro in Aula si è lasciato andare in diverse occasioni a scatti d’odio. Mentre la corte dibatteva sull’ammissibilità o meno del teatro Bataclan e della Città di Parigi tra le parti civili (anche il batterista degli Eagles of Death Metal, la band che si stava esibendo al Bataclan quella sera avrebbe fatto richiesta di essere parte civile), il 31enne aveva sbottato: «E le vittime in Siria e in Iraq saranno in grado di parlare?». Durante la prima giornata di dibattimento, nel dichiarare la propria identità, come da procedura, Abdeslam aveva abbassato la mascherina dicendo: «Prima di tutto voglio testimoniare che non c’è altro dio all’infuori di Allah». Mentre rispondendo alla domanda sulla professione svolta si era limitato a dichiarare di aver smesso di lavorare per «diventare un combattente dell’Isis».
«Non sapevano nulla di quello che stavo facendo»
Oggi 9 settembre il 31enne franco marocchino ha messo in chiaro: «In linea di principio, si è innocenti prima di essere processati. Anche se non riconosco la vostra giustizia». Non badando alle rimostranze del presidente della Corte, Salah Abdeslam ha approfittato dell’occasione per passare a un altro argomento: «A Molenbeek c’è molta generosità, Mohammed Amri, Hamza Attou e Ali Oulkadi (accusati di aver aiutato Abdeslam a lasciare Parigi e a fuggire a Bruxelles dopo gli attentati, ndr) mi hanno aiutato anche se non sapevano nulla di ciò che facevo». Hamza Attou, 27 anni, e Ali Oulkadi, 37 anni, sono al momento sotto controllo giudiziario e a piede libero. «Se chiedo loro di portarmi in un posto, lo fanno senza riflettere. Eppure sono in prigione da sei anni senza che abbiano fatto nulla», ha continuato l’imputato. «Ha avuto cinque anni per spiegare come sono andate le cose eppure non ha rilasciato dichiarazioni come suo diritto», ha risposto il presidente. «Capisco ora che voglia farlo ed è fantastico, ma non è il momento».