Non c’è due senza tre. Gira questa battuta tra i corridoi di San Donato milanese, nella sede di Saipem dove da giorni si discute della situazione dell’amministratore delegato Francesco Caio dopo il profit warning che a fine gennaio ha rivelato la disastrosa situazione dei conti. Il destino dell’ex numero uno di Poste italiane, grande amico di Enrico Letta e in ottimi rapporti con il Partito democratico, sembra invero scontato, come Tag43 ha più volte scritto. Del resto il commissariamento dei vertici con l’ingresso di Alessandro Puliti da Eni e Paolo Calcagnini da Cassa Depositi e Prestiti portano a pensare che Caio possa essere sostituito alla prossima assemblea di bilancio prevista in aprile.

Caio e il profit warning della Cable & Wireless
A meno che l’emergenza scatenata con la guerra tra Russia e Ucraina unitamente ai rischiosi riflessi che essa avrà sul settore energetico portino il governo a non modificare più di tanto la struttura aziendale. In questa fase serve una Saipem più che operativa, dal momento che la nostra società ingegneristica è destinata ad avere un ruolo di primo piano nei nuovi accordi sul gas. Sta di fatto che Caio resiste, banalmente anche perché per lui non ci sono altri incarichi in vista. In questo non diversamente da molti manager di Stato, per i quali il rimanere senza poltrona è sempre stato un problema. Non la pensa così però chi ha maliziosamente fatto pervenire sui tavoli di palazzo Chigi un articolo del Guardian che risale al febbraio 2006, ma di cui c’è ancora traccia sul web. Titolo e catenaccio sono abbastanza chiari. Caio dice ciao al gruppo dopo il profit warning. Non siamo nel film Ritorno al futuro. Ma già nel 2006 l’amministratore delegato di Saipem si ritrovò in un’azienda che fu costretta a correre ai ripari sul bilancio. Si trattava di Cable & Wireless. «Dopo tre anni al timone durante i quali ha lottato per creare una strategia coerente per l’azienda, Caio ha detto che se ne andrà», si legge. «Sottolineando che non è stato licenziato – si dimette a fine marzo ma rimarrà in azienda per alcuni mesi per aiutare nella ristrutturazione – e che nessun azionista ha chiesto la sua testa, Caio ha aggiunto: “Sono molto contento di quello che abbiamo ottenuto”». E ancora: «La notizia è stata uno shock per gli investitori. Gli analisti avevano previsto profitti per l’anno fino a fine marzo 2006 di circa 150 milioni di sterline, mentre l’anno successivo stavano cercando di arrivare fino a 280 milioni di sterline». E invece era tutto sbagliato. Proprio come quanto successo in Saipem a distanza di 16 anni. Per di più per Cable & Wireless ci furono anche pesanti tagli al personale, con la perdita del lavoro per almeno 160 persone.

L’Inghilterra non ha potato bene nemmeno al manager Filippo Abbà
Il pezzo stila anche una breve biografia di Caio, che vale la pena rispolverare, anche perché impossibile da leggere in Italia. «Francesco Caio, che ha iniziato la sua carriera in Olivetti nel 1982, è entrato a far parte di Cable & Wireless nel 2003 dopo essere stato il fondatore e amministratore delegato di Netscalibur, il fornitore europeo di servizi Internet e telecomunicazioni per le imprese che è crollato dopo il boom delle dot-com. Dal 1997 al 2000 è stato amministratore delegato della Merloni Elettrodomestici e in precedenza il primo capo dell’operatore mobile italiano Omnitel. Dal 1991 al 1993 ha lavorato per Olivetti dopo un periodo in McKinsey». È proprio per questo articolo del quotidiano inglese che in Saipem ci si rifà al detto che non c’è due senza tre. Ma l’Inghilterra non sembra portare bene anche a un altro manager di Saipem, arrivato da poche settimane a San Donato. Si tratta di Filippo Abbà, ex Cdp, anche lui voluto da Caio. Abbà è l’ex amministratore delegato di Ansaldo Energia, uscito non senza polemiche nel 2018, anche perché coinvolto nel 2017 in un’indagine del Dipartimento britannico Antifrode e anticorruzione per il sospetto di «corruzione internazionale e pagamenti illeciti». Di quella vicenda non si è saputo più nulla, ma un quotidiano online di Genova ricorda ancora adesso che a pesare su Abbà, oltre all’indagine inglese, erano «le performance aziendali considerate deludenti dall’azionista di maggioranza Cdp (60 per cento), ma anche dal socio cinese Shanghai Electric (40 per cento), che peraltro non era stato coinvolto nella scelta. Sinora Cassa Depositi e Prestiti aveva scelto di soprassedere, ma secondo quanto ricostruito dal giornale lo stato di sofferenza che minaccia Aen e che rischia di tradursi in numeri negativi sul bilancio sta spingendo Cdp a un’accelerazione». E così fu.