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Littlefeather e quella promessa a Brando

L’attrice e attivista nativa americana nel 1973 salì sul palco degli Oscar al posto del divo. Un minuto per difendere i diritti del suo popolo che le cambiò la vita.

3 Giugno 2021 17:103 Giugno 2021 17:13 Camilla Curcio
La storia dell'attivista Littlefeather

Il 27 marzo 1973 Sacheen Littlefeather salì sul palco della 45esima edizione degli Oscar ed entrò nella storia. Marie Louise Cruz, questo il suo vero nome, attrice, modella e attivista per i diritti dei Nativi americani, prese il posto di Marlon Brando facendosi sua portavoce. Brando, vincitore della statuetta come miglior attore per il Padrino, decise infatti di rifiutare il riconoscimento «in nome del discutibile trattamento riservato agli Indiani d’America nell’industria del cinema e nel mondo della televisione, e anche alla luce di quanto accaduto a Wounded Knee». Teatro nel 1890 di un eccidio di Lakota, Wounded Knee nel 1973 era finita al centro delle cronache per nuovi scontri tra attivisti e il governo degli Stati Uniti. Littlefeather approfittò della visibilità e dei pochi minuti a disposizione per insistere sul rispetto dei diritti della propria gente. Una missione a cui ha tenuto fede per un’intera vita, fino a quando un cancro ai polmoni l’ha costretta a fermarsi.

«Avevo promesso a Marlon che non avrei toccato il premio»

La comparsa di Sacheen Littlefeather su un palco così importante fece naturalmente scalpore. E non solo negli States. In quell’anno, infatti, l’evento venne seguito in tivù da oltre 85 milioni di spettatori in tutto il mondo. C’è chi pensò che si trattasse di uno scherzo o di una performance. «Ovviamente non si trattava di finzione teatrale, era un discorso reale», racconta la donna in un’intervista al Guardian. «Penso che a cogliere di sorpresa il pubblico fosse il fatto che nulla era stato preparato. Ancora oggi, chi ascolta quelle parole si emoziona». «È successo tutto così velocemente»,aggiunge parlando di quel giorno. «Avevo promesso a Marlon che non avrei toccato il premio, al produttore che sarei rimasta entro il minuto. Dovevo tenere fede a due promesse, così ho improvvisato tutto».

 

L’intervento di  Littlefeather agli Oscar e la rivalsa personale

L’intervento di Littlefeather e l’impegno di Brando non riscossero successo in platea. John Wayne, suprematista bianco dichiarato, tentò più volte di interrompere Littlefeather, al punto da essere allontanato dagli uomini della sicurezza. Mentre Clint Eastwood, poco prima di presentare i candidati all’Oscar per la fotografia, ironizzò sulla necessità di tutelare anche i cowboy uccisi nei western di John Ford. Di quel gesto, però, Littlefeather non si è mai pentita. È stata la prima donna di colore e la prima nativa a utilizzare un palco simile per dare voce a una minoranza. Ai tempi fu un gesto rivoluzionario. «Non ho usato la forza né le parolacce. Non ho alzato la voce», mette in chiaro nell’intervista l’attrice. «Mi sono affidata alle preghiere dei miei antenati. Sono salita su quel palco come se fossi una guerriera. Con la delicatezza, l’umiltà e il coraggio della mia gente. Ho semplicemente parlato col cuore».  Quell’istante, per lei, è stato anche un momento di rivalsa dopo una vita particolarmente complicata. I genitori, il padre era Apache, si erano incontrati in Arizona dove i matrimoni misti erano illegali ed erano stati costretti a spostarsi in California. «I miei genitori biologici erano mentalmente instabili e incapaci di occuparsi di me», ricorda Littlefeather. «Da bambina sono stata vittima di abusi. Mi hanno portato via da loro a tre anni, ero malata di tubercolosi. Sono riuscita a sopravvivere solo grazie a una tenda a ossigeno in ospedale». Nonostante fosse stata affidata ai nonni materni, riusciva a vedere regolarmente il padre e la madre. Proprio in uno di quegli incontri, si accorse delle violenze subite dalla mamma. «Mio padre la picchiava con un bastone. Poi ha tentato di inseguirmi. Sono scappata e scesa in strada, lui è salito sul furgoncino e ha provato a investirmi. Mi sono salvata perché sono riuscita a nascondermi nella boscaglia. Forse quell’episodio mi ha spinto a diventare un’attivista». Divisa tra due mondi, quello delle origini e quello dei bianchi, ha portato avanti sin da piccola una battaglia complicata. Contro i pregiudizi sui nativi. Contro il razzismo dei compagni di classe. Un fardello pesante da sopportare e che, da adolescente, l’ha portata a tentare il suicidio. «Ero così confusa rispetto alla mia identità, soffrivo e basta. Non riuscivo a capire la differenza tra me e il mio dolore».

Sacheen Littlefeather la sua storia
Sacheen Littlefeather nel 2010 (Getty Images).

L’impegno per i nativi e l’aiuto delle star di Hollywood

Ma tutto cambiò tra gli Anni 60 e 70, i nativi iniziano a rivendicare un ruolo nella società e i propri diritti. E Littlefeather iniziò a impegnarsi per conoscere e studiare le proprie origini. A 20 anni cominciò a studiare la rappresentazione del suo popolo nei film, nella tivù e nello sport. La sua passione coinvolse molte celebrità: da Jane Fonda a Anthony Quinn, da Burt Lancaster fino a Marlon Brando. Approfittando della conoscenza con Francis Ford Coppola (era suo vicino di casa), contattò Brando per sapere se fosse interessato alle sue battaglie. Per mesi non ricevette alcuna risposta. Poi una sera, mentre lavorava in radio a San Francisco, fu contattata dalla star.  Tra i due nacque un’ottima amicizia. L’intervento di Littlefeather durante la notte degli Oscar ebbe sì risonanza mondiale ma danneggiò pesantemente la sua carriera. Da quel momento fu come cancellata da Hollywood. «Non sono mai riuscita a trovare un lavoro che potesse mantenermi. So che J.Edgar Hover è andato in giro a consigliare alla gente del settore di non assumermi perché avrebbe chiuso i loro programmi tivù o interrotto le loro produzioni», aggiunge. Ha pensato anche di aver danneggiato anche la carriera di Brando: «Sono stata un problema. Qualsiasi attore, accostato a una come me, avrebbe incontrato non pochi ostacoli». Il rapporto tra i due si è raffreddato col tempo, ma Littlefeather ricorda con affetto quando, insieme, contribuirono a fare la storia. Oggi, dopo una carriera come consulente olistica esperta in nutrizione e una conversione al cattolicesimo, è diventata una delle anziane incaricate di trasmettere la sua esperienza alle nuove generazioni di nativi. Raggiungendo quell’equilibrio tanto cercato per una vita intera. «Quando morirò, porterò tutto quello che so con me. Ma prima di quel momento, spero di poter condividere il più possibile con gli altri».

 

 

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