Nel 2024 in Russia sono in calendario le elezioni presidenziali. Dal marzo del 2000 al Cremlino c’è Vladimir Putin, sostituito solo tra il 2008 e il 2012 da Dmitry Medvedev. Putin nel 2024 compirà 72 anni, 10 in meno di Joe Biden, che ha scelto di ricandidarsi alla Casa Bianca. A Mosca la questione della campagna elettorale e del nuovo mandato non è pubblicamente all’ordine del giorno: i tempi sono ancora lunghi e soprattutto legati all’andamento della guerra in Ucraina. Già da prima dell’ordine di invasione da parte di Putin si erano manifestate nei corridoi del Cremlino le differenze tra falchi e colombe, tra chi più o meno apertamente aveva sconsigliato all’interno del gruppo dirigente di fare passi di piombo, come il capo del Svr, i servizi segreti esterni, e chi invece era grande sostenitore dell’intervento militare, come il segretario del Consiglio di sicurezza Nikolai Patrushev.
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La guerra ha aumentato l’incertezza: tutto dipende dall’esito
Il conflitto ha fatto scomparire, almeno temporaneamente, gran parte moderati e acuito l’attrito tra i siloviki, gli uomini chiave che gestiscono l’apparato militare, l’intelligence e l’amministrazione, sulla conduzione della guerra, accentuati dal ruolo esterno degli attori legati al regime, che sul campo in Ucraina hanno assunto un ruolo importante, dal capo della compagnia Wagner Evgenij Prigozhin al leader ceceno Ramzan Kadyrov. Altre colombe, come l’ex presidente Medvedev, ora vice al Consiglio di sicurezza, si sono trasformati in falchi. Molti dei movimenti all’ombra del Cremlino possono essere letti come posizionamenti in vista di una possibile successione, questione che si è ripetuta varie volte nel corso degli ultimi lustri, con la mediazione di Putin tra i vari aspiranti e gruppi di potere conclusasi sempre con la decisione di rimanere al suo posto. La guerra non ha mutato le carte in tavola, ma accentuato l’incertezza, dato che una soluzione che risultasse in qualche modo positiva per la Russia potrebbe probabilmente favorire l’ennesimo soggiorno di Putin al Cremlino, una negativa invece darebbe un’accelerazione per il cambiamento.

L’apparato che tira le fila economiche e politiche del Paese
Già dai tempi di Boris Yeltsin i passaggi di potere in Russia sono avvenuti dall’alto e l’elettorato ha dovuto sostanzialmente suggellare decisioni prese dai poteri forti, che si concentrano, al livello amministrativo, in quella che è la vera macchina da guerra a Mosca, la regia, allargata, dove il presidente trae potere, cioè l’Amministrazione presidenziale (Ap). Qui arrivano e salgono di grado i fedelissimi del capo dello Stato, quelli che tirano le fila del Paese, che creano e adottano i programmi politici ed economici. Con la guerra, l’Ap ha assunto un profilo più basso, lasciando anche lo spazio, soprattutto nella narrazione occidentale, agli esponenti più visibili impegnati sul terreno, dal ministro della Difesa Sergei Shoigu al generale Valery Gerasimov. Ma in realtà è qui che si plasma la Russia del futuro ed è da qui che partirà l’operazione successione, quando lo zar lo deciderà.

Struttura guidata da Anton Vajno, 50enne allevato da Putin
La struttura è sempre la stessa ormai da qualche anno, guidata da Anton Vajno, esponente di quella nuova leva di cinquantenni (classe 1972) allevati alla corte di Putin, tecnocrati poco esposti mediaticamente, in Russia come all’esterno, ma essenziali per l’efficienza dell’Ap. Vajno, figlio di Karl, segretario nell’Urss del partito comunista estone, la guida da sette anni. Uno dei suoi vice, forse il più potente, è Sergej Kirienko, volpe un po’ più anziana (nato nel 1962), già primo ministro russo sotto Yeltsin nel 1998, prima di venir sostituito proprio da Putin, e sempre dal 2016 all’Ap. Da oltre un decennio nell’Amministrazione con il ruolo di vice ci sono anche Alexey Gromov e Magomedsalam Magomedov, e tra tutti spesso e volentieri si scambiano le competenze a seconda delle esigenze, ma in sostanza è un blocco unito e solido. Chi ruota con più frequenza sono gli advisor speciali del presidente, primo dei quali, intoccabile, è il portavoce Dmitry Peskov.

Scordiamoci scenari di colpi di Stato o rivoluzioni popolari o di oligarchi
Se la guerra dovesse proseguire a lungo, e al di là del cassate il fuoco servisse comunque molto tempo prima di un accordo tra Russia e Occidente che ristrutturi completamente le relazioni, è evidente che l’Amministrazione presidenziale acquisirebbe sempre più potere nelle ridefinizione interna della Russia e delle sue componenti politiche, economiche e sociali: il che significa che, messi da parte i desideri occidentali di colpi di Stato, rivoluzioni popolari o di oligarchi, bisognerà fare prima o poi i conti con i fedelissimi coltivati da Putin, forse proprio usciti dalla fucina del potere all’ombra del Cremlino.