C‘era da aspettarsela e puntualmente è arrivata. La nuova guerra del gas vede la Russia contro la Moldavia, piccola ex repubblica sovietica incastrata tra Romania e Ucraina, il Paese più povero dell’Europa. Così povero da non potersi permettere di rinnovare i contratti per le forniture di gas scaduti a settembre e aver dichiarato la scorsa settimana lo stato di emergenza sino a fine novembre. O almeno fino a quando non sarà raggiunto un compromesso con Mosca che ha posto un ultimatum: entro dicembre Chisinau deve ripianare i debiti accumulati, circa 700 milioni di dollari, e firmare il nuovo contratto che, per forza di cose, prevede un aumento importante visto che si passerebbe dai circa 300 dollari per 1000 metri cubi attuali a 790, più del doppio. Sempre meno però di quanto pagano gli Stati europei occidentali ma, anche se se riuscisse a strappare uno sconto, non certo la cifra di favore riservata ai Paesi amici.

La politica energetica della Russia è fatta di poco mercato e molte relazioni
E proprio questo è il punto fondamentale: la Russia ha sempre adottato con le repubbliche nate dopo il crollo dell’Urss una politica energetica poco trasparente, basata poco sul mercato e più sull’insieme di relazioni bilaterali, economiche e politiche. Fino a quando ci sono stati interessi comuni condivisi i problemi di tariffe e di debiti non pagati nei confronti di chi forniva gas o petrolio, cioè Mosca, sono stati sempre risolti facilmente con il metodo del baratto. In altre parole il Cremlino e Gazprom alla fine facevano tornare i conti su altri piani, lasciando anche spazio, da una parte e dall’altra, agli affari sottobanco degli oligarchi di turno. Nel momento in cui il meccanismo si rompeva, cominciavano i guai.
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Il precedente ucraino: dalle guerre del gas alla guerra nel Donbass
L’esempio più eclatante è stato quello dell’Ucraina, dove negli ultimi 30 anni si è assistito a una mezza dozzina di guerre del gas o cosiddette tali fino a che nel 2014 si è arrivati a un conflitto armato vero e proprio, dopo che il modello del do ut des si era dimostrato fallimentare, e soprattutto con la decisiva complicità di Europa e Stati Uniti pronti a scardinarlo per interessi geopolitici. Di fronte all’offerta della Russia di gas a poco prezzo in cambio della permanenza di Kiev nell’orbita di Mosca, dopo che l’allora presidente Victor Yanukovich aveva già mandato a gambe all’aria l’accordo di associazione con l’Ue, Bruxelles e Washington non hanno esitato a promuovere il cambio di regime in Ucraina con gli effetti devastanti dell’annessione della Crimea da parte di Mosca e l’avvio della guerra del Donbass che continua ancora ai giorni nostri.

L’accusa di Chisinau: Mosca usa il gas come arma politica
Allora a Kiev come oggi a Chisinau, dove un presidente e un governo filoccidentali hanno sostituito da qualche mese i filorussi, la storia si ripete. Stando alla versione moldava è naturalmente la Russia che usa il gas come arma politica, volendosi vendicare della giravolta che ha portato Maia Sandu al potere e confinato il filorusso Igor Dodon all’opposizione. E in parte corrisponde alla realtà. È però anche vero che se i prezzi di favore si fanno ai Paesi amici, gli altri si devono adeguare al mercato e non si possono certo appellare alla benevolenza di Gazprom. Secondo i vecchi schemi, senza una qualsiasi contropartita, anche politica, non c’è nessun motivo per cui il Cremlino debba scendere a compromessi. Pretenderlo, come aveva fatto l’Ucraina durante gli anni della rivoluzione arancione, oppure come auspicato adesso da Chisinau, vuol dire schiantarsi contro la realtà.
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Con i rialzi delle tariffe ora Putin ha il coltello dalla parte del manico
I prezzi, al di fuori della bolla ex sovietica dove la Bielorussia paga ad esempio ancora meno di 200 dollari per mille metri cubi, li fa il mercato e se ci sono state fasi in cui i rialzi di gas e petrolio hanno creato non pochi problemi a un Paese esportatore come la Russia, ultimamente fanno il gioco di Vladimir Putin che si ritrova col coltello dalle parte del manico. Il Cremlino ha tutto l’interesse a usare il proprio peso energetico per influenzare le vicende politiche in Moldavia, ma la congiuntura internazionale che ha determinato lo choc nel dopo pandemia non è certo attribuibile alla Russia, vista da occidente fragile e sull’orlo del collasso quando i prezzi scendono e aggressiva e potente quando salgono. La verità è che Putin, le cui strategie possono non piacere a Bruxelles e Washington, è capace di sfruttare proprio le debolezze e la mancanza di visioni occidentali, anche e soprattutto per le questioni energetiche.