Sembra che qualcuno abbia sbagliato i calcoli. La Russia non collasserà economicamente, almeno non quest’anno né l’anno prossimo. Lo sostiene il Fondo Monetario Internazionale, non certo un cenacolo di economisti filoputiniani. Per il 2023 l’Fmi prevede a Mosca una crescita dello 0,3 per cento, nel 2024 del 2,1. Nulla a che vedere con le stime dei catastrofisti che vedevano l’economia giù del 10 per cento e bloccata in una spirale negativa che l’avrebbe trascinata in breve verso il baratro. Al Cremlino e alla Banca centrale hanno fatto i compiti, meglio che in Occidente e, soprattutto, meglio di quanto abbiano fatto in Europa, dove Paesi come Germania, Gran Bretagna e anche Italia faranno meno bene della Russia nei prossimi due anni.
L’economia russa non è stata affondata dalle sanzioni
È lecito quindi chiedersi a cosa siano servite le sanzioni comminate da Unione Europea e G7, se Mosca continua a navigare in acque non certo turbolente e soprattutto non ha cambiato strategia nella guerra in Ucraina. Alla vigilia dell’entrata in vigore dell’ennesimo embargo sui prodotti petroliferi russi che partirà il 5 febbraio e dopo un anno di guerra, e di sanzioni, il bilancio per la Russia non è così devastante da dover invertire la rotta. D’altra parte le voci dal Cremlino, da Vladimir Putin in giù, continuano a ripetere che la cosiddetta operazione speciale sta andando avanti secondo i piani e non c’è nessuna ragione né di cambiarli, né di trattare con Kyiv. Tanto più davanti agli obiettivi ribaditi da Volodymyr Zelensky: cioè riconquistare i territori occupati, anche quelli dal 2014, Crimea compresa. La guerra perciò va avanti. Da quasi nove anni.

Dal 2014 Mosca ha imparato a convivere con le strette occidentali
Non bisogna scordare infatti che l’invasione su larga scala lanciata dalla Russia il 24 febbraio scorso ha avuto un prologo durato otto anni e costato 14 mila morti: dopo il cambio di regime a Kyiv alla fine dei febbraio 2014 erano arrivate infatti l’annessione della Crimea a marzo e l’avvio del conflitto nel Donbass in aprile, cominciato come operazione antiterrorismo del governo di Kyiv per riportare sotto il proprio controllo le regioni ribelli di Donetsk e Lugansk. Dal 2014 la Russia è entrata nel mirino sanzionatorio di Unione Europea e Stati Uniti e in questi anni, anche con i giri di vite progressivi, ha imparato a convivere con le sanzioni, adottando contromisure e ammorbidendone gli effetti, grazie anche al ruolo in regia alla Banca centrale di Elvira Nabiullina.

Il duello sull’energia per ora finisce in pareggio
Paradossalmente sembra che il Cremlino sia più preparato nel difendersi dalla guerra economica e finanziaria occidentale, che nel condurre quella reale. Allo stesso modo Ue e Usa paiono essere stati più reattivi nell’aiutare militarmente l’Ucraina, già nel periodo post Euromaidan e prima dell’attacco dello scorso anno, che a reagire ai prevedibili scossoni che le sanzioni avrebbero portato, soprattutto in Europa. Il duello economico più visibile, quello sull’energia, si sta risolvendo al momento in un pareggio: se da un lato Mosca ha deviato le esportazioni di gas e petrolio sul versante asiatico, India e Cina in primo luogo, in Europa si stanno trovando fornitori e vie alternative, fermo restando che il banco di prova per il gas rimarrà il prossimo inverno, visto che quest’anno gli impianti di stoccaggio su tutto il continente non saranno rabboccati con l’import da Mosca come è successo sino all’autunno del 2022. Alla fine dei conti dunque l’arma delle sanzioni, adottate per stringere la morsa intorno al Cremlino e spingere a un cambio della linea in Ucraina, sperando anche in un cambio al potere, si è rivelata spuntata. Forse era possibile prevederlo visto l’esempio di regimi isolati e sanzionati che però restano in piedi: Cuba, Iran e Corea del Nord. Non solo non sono stati seppelliti, ma hanno sviluppato meccanismi di sopravvivenza e sviluppo. La Russia di Putin sta seguendo questa strada, supportata oltretutto da quello che è il rivale maggiore degli Stati Uniti: la Cina.