Perché l’economia della Russia sta reggendo nonostante le sanzioni

Redazione
24/08/2022

Toh, l'Economist dà ragione a Salvini: le misure punitive dell'Occidente fanno il solletico (per ora) a Mosca. Merito del raddoppio dei tassi di interesse da parte della Banca centrale russa, della capacità di resistenza del popolo di Putin e della vendita degli idrocarburi. L'analisi.

Perché l’economia della Russia sta reggendo nonostante le sanzioni

Vuoi vedere che alla fine ha ragione Matteo Salvini? Quando il leader della Lega ha detto che «le sanzioni alla Russia evidentemente sono state fatte male», tutti a storcere il naso e alzare il sopracciglio, ricordando le sue vecchie (o ancora attuali?) simpatie per il putinismo. Eppure, stando ai dati, per una volta il “Capitano” del Carroccio non ha buttato lì la solita sparata propagandistica, non sappiamo quanto consapevolmente. «Le sanzioni avrebbero dovuto mettere in ginocchio la Russia. Dopo sei mesi è accaduto l’esatto contrario». Questa affermazione è vera? Come stanno sul serio le cose?

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Una approfondita analisi dell’Economist ha messo insieme un po’ di numeri su Mosca e dintorni. Scoprendo che in effetti l’economia russa sta andando meglio anche delle più rosee previsioni, soprattutto grazie alle vendite di idrocarburi. La banca d’affari Goldman Sachs, per esempio, ha elaborato un indicatore che fornisce la misura in tempo reale della crescita economica di un Paese. Ebbene, questo è diminuito drasticamente a marzo e aprile, anche se non in modo paragonabile alla crisi finanziaria globale del 2007-2009 o addirittura all’invasione dell’Ucraina nel 2014. Ma nei mesi successivi si è verificata una ripresa.

Perché l'economia della Russia sta reggendo nonostante le sanzioni
Mosca sta resistendo economicamente nonostante le sanzioni. (Getty)

Una recessione c’è, ma non profonda

Altri dati ci restituiscono una storia simile, cioè quella di una recessione, ma non profonda, almeno per gli standard della Russia. A giugno la produzione industriale era in calo dell’1,8 per cento rispetto all’anno precedente, stando a un documento pubblicato da JPMorgan. Un indice di crescita del settore dei servizi ha registrato un impatto minore rispetto alle crisi precedenti. Il consumo di energia elettrica sembra tornare a crescere, dopo un’iniziale contrazione. E il numero dei carichi ferroviari, indicatore della domanda di merci, sta reggendo.

Nel frattempo, l’inflazione si sta attenuando. Da inizio 2022 a fine maggio i prezzi al consumo sono aumentati di circa il 10 per cento. Il crollo del rublo ha reso più care le importazioni, ma ora i prezzi stanno scendendo, secondo Rosstat, l’Agenzia federale russa per le statistiche. Una fonte indipendente, pubblicata dalla società di consulenza State Street Global Markets e dalla società di dati PriceStats, ha studiato l’andamento dei prezzi online, scoprendo le stesse tendenze. Un rublo tornato a essere più forte ha ridotto il costo delle importazioni. E le aspettative di inflazione dei russi sono diminuite. I dati raccolti della Cleveland Federal Reserve, dalla società di consulenza Morning Consult e da Raphael Schoenle della Brandeis University mostrano che l’inflazione prevista per il prossimo anno è scesa dal 17,6 per cento di marzo all’11 per cento di luglio. Con l’abbondanza di gas, è improbabile che anche la Russia veda un’impennata dell’inflazione in stile europeo, prodotta dall’aumento dei prezzi dell’energia.

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La versione russa di un ex McDonald’s. (Getty)

Il lavoro non è crollato, i salari crescono

Sul lavoro, invece, come siamo messi? È vero, il tasso di disoccupazione, al minimo storico del 3,9 per cento a giugno, è fuorviante. Molte aziende infatti hanno licenziato il personale, lasciando i dipendenti a casa senza stipendio. Ma non ci sono molte prove di un disastro dal punto di vista occupazionale. La ricerca fatta da HeadHunter, un sito russo sul mercato del lavoro, suggerisce che il rapporto tra persone in cerca di un impiego e posti vacanti è salito da 3,8 a gennaio a 5,9 a maggio, rendendo più difficile trovare un lavoro rispetto a prima, ma poi è leggermente diminuito. I dati di Sberbank, il più grande istituto di credito russo, evidenziano come i salari siano notevolmente aumentati dalla primavera.

In parte perché il mercato del lavoro sta tenendo botta, e le persone possono continuare a spendere. I numeri di Sberbank spiegano anche che a luglio i consumi sono rimasti pressoché invariati dall’inizio dell’anno. Le importazioni sono diminuite drasticamente in primavera, in parte perché molte aziende occidentali hanno smesso di fornirle. Tuttavia, il calo non è stato grave per gli standard delle recenti recessioni, e le importazioni ora stanno riprendendo rapidamente.

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Vladimir Putin. (Getty)

Primo fattore: la politica economica di Putin

Come si spiega dunque questa strenua resistenza russa, nonostante le sanzioni? Con tre fattori. Il primo è la politica. Vladimir Putin di economia capisce poco, ma delega volentieri a chi ne sa. La Banca centrale russa ha agito in fretta per prevenire il collasso economico. Il raddoppio dei tassi di interesse a febbraio, in combinazione con i controlli sui capitali, ha sorretto la moneta, contribuendo a ridurre l’inflazione. L’opinione pubblica sa che Elvira Nabiullina, la governatrice della Banca, è seriamente intenzionata a tenere sotto controllo i prezzi, anche se questo non la rende una figura granché popolare.

Secondo fattore: la «capacità di soffrire» dei russi

Il secondo motivo del mancato crollo della Russia riguarda la sua storia economica recente. Sergei Shoigu, il ministro della Difesa, ha detto al governo britannico che i russi «possono soffrire come nessun altro». In che senso? Beh, questa è la quinta crisi economica che il Paese ha dovuto affrontare in 25 anni, dopo il 1998, il 2008, il 2014 e il 2020. Chiunque abbia più di 40 anni ha ricordi del devastante choc finanziario provocato dalla caduta dell’Unione sovietica. Le persone insomma hanno imparato ad adattarsi senza lamentarsi troppo, invece che piombare nel panico. Del resto diversi segmenti dell’economia russa sono stati a lungo abbastanza distaccati dall’Occidente, anche a costo di una minore crescita. Questo ha reso meno doloroso il recente aumento dell’isolamento provocato dalle sanzioni. Nel 2019 l’insieme di investimenti diretti esteri nel Paese valeva circa il 30 per cento del Pil, a fronte di una media mondiale del 49. Prima dell’invasione, solo lo 0,3 per cento circa dei russi con un impiego lavorava per un’azienda americana, rispetto a oltre il 2 per cento nel mondo occidentale. Il Paese richiede relativamente poche forniture estere di materie prime. Pertanto, l’isolamento aggiuntivo non ha avuto un grande impatto, almeno fino a oggi.

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Cittadini russi a Mosca. (Getty)

Terzo fattore: la vendita di combustibili fossili

Infine il terzo fattore di questa situazione non così drammatica riguarda gli idrocarburi. Le sanzioni hanno intaccato poco la produzione petrolifera russa, secondo un recente rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia. Dall’inizio della guerra il 24 febbraio, la Russia ha venduto all’Unione europea combustibili fossili per un valore di circa 85 miliardi di dollari. Il modo in cui Mosca spende la valuta estera così accumulata è un mistero, viste le sanzioni al governo. Ma non c’è dubbio che queste vendite stiano aiutando la Russia nel campo delle importazioni, per non parlare del pagamento dei soldati e dell’acquisto di armi. Quanto potrà durare tutto ciò? Col passare del tempo, le sanzioni avranno certamente un prezzo salato per Mosca: la Russia è destinata a produrre beni di qualità peggiore a un costo maggiore. Però, almeno fino a questo momento, la sua economia barcolla ma non crolla.