La guerra in Ucraina ci ha abituati a misurarci con una continua propaganda promossa dai vari protagonisti/antagonisti in campo. E la propaganda, si sa, non si fa certo scrupolo di utilizzare fake news o magari mezze verità sapientemente mischiate alle menzogne per colpire il nemico. Emblematica l’ultima campagna “pubblicitaria” lanciata dal Cremlino (anche se, nello specifico, si parla di un’organizzazione chiamata “Our Victory”) per attaccare e denigrare la Svezia, rea di voler entrare nella Nato. «Noi siamo contro il nazismo, ma loro no», recitano i manifesti e i cartelloni della campagna, e, sotto, le foto di tre famosi “nazisti” svedesi: Astrid Lindgren, la creatrice di Pippi Calzelunghe, il regista Ingmar Bergman e il fondatore di Ikea, Ingvar Kamprad. Un secondo manifesto, meno diffuso, riproduce il re di Svezia dell’epoca, Gustavo V, come un nazista.

L'”energia nazista” e il giovane Bergman
Si potrebbe disquisire a lungo sulla scelta di questi personaggi dal punto dell’efficacia comunicativa (quanti in Russia, soprattutto tra le giovani generazioni, conoscono anche solo di nome i “nazisti” svedesi proposti dalla campagna?), ma quel che è certo è che si tratta di una scelta parecchio mistificante. Nel caso di Ingmar Bergman, per esempio, è vero che il regista fu affascinato dall’allora minuscolo movimento fascista svedese, e che fu ammiratore di Hitler (lui stesso confessò di aver partecipato a un comizio nazista e di averne colto tutta l’energia), ma parliamo di un Bergman giovanissimo, e del resto la sua “militanza” fascista si risolse proprio con la presenza a quel comizio.

L’errore Ingvar Kamprad
Più calzante il caso di Ingvar Kamprad, che, a differenza di Bergman, ebbe rapporti più continui con il movimento giovanile nazista durante la Seconda Guerra mondiale. Rapporti che lo stesso imprenditore stigmatizzò pubblicamente, bollandoli come «la follia della giovinezza» e «il più grande errore della mia vita». Nel caso di Kamprad, può essere interessante ricordare che il suo non fu esattamente un coming-out: l’imprenditore non avrebbe mai fatto cenno al suo passato se non costretto dopo le rivelazioni fatte da Per Claes Sven Edvard Engdahl, la figura più importante del fascismo svedese non solo tra le due Guerre, ma anche successivamente: la sua formazione di estrema destra, il Movimento della Nuova Svedesità, infatti, fondato nel 1941, sopravviverà fino alla morte del suo leader, avvenuta nel 1994, e sarà molto attivo nel Movimento Sociale Europeo (ESM), una sorta di alleanza tra neofascisti promossa nel 1951 dal Msi italiano. Il nome di Engdahl tornò agli onori della cronaca, suscitando molto scalpore e molto sconcerto, qualche anno dopo la sua morte, quando venne diffusa una parte della sua corrispondenza personale in cui si rivelava appunto che il fondatore di Ikea aveva militato, durante la Guerra, nel movimento fascista.
Astrid Lindgren e la minaccia stalinista
Caso del tutto particolare anche quello che coinvolge la creatrice di Pippi Calzelunghe, Astrid Lindgren. È vero che la futura scrittrice non negò mai di temere la Russia comunista, ma, come la maggior parte della popolazione svedese, riteneva che il suo Paese fosse minacciato da «due draghi»: il nazismo hitleriano che aveva già asservito la Norvegia, e lo stalinismo della Russia, che aveva attaccato la Finlandia per proteggere la popolazione russa che lì viveva. Astrid Lindgreen, grande sostenitrice della socialdemocrazia, nel Dopoguerra si impegnò in molte campagne civili, da quella contro la guerra in Vietnam a quella in favore dei diritti dei neri in America o contro le armi nucleari (1980). Ma questo, evidentemente, ai suoi “denigratori”, non importa. Il loro interesse è stato catturato dal diario che la scrittrice aveva tenuto proprio sugli anni bellici, e sugli orrori conseguenti, e da lì hanno tratto, decontestualizzandola, una citazione del 1940 che, a detta loro, qualifica Lindgren (che peraltro nelle stesse pagine si rammaricava del fatto che nessuno fosse ancora riuscito a sparare a Hitler, eliminandolo) come nazista: «Una Germania indebolita poteva significare solo una cosa per noi nel Nord, che avremmo avuto i russi sulle nostre spalle. E penso che preferirei dire ‘Heil Hitler’ per il resto della mia vita piuttosto che avere i russi con noi per il resto della mia vita».

Gustavo V, il re “nazista” che aiutò gli ebrei
Il caso di Gustavo V è altrettanto mistificante. È vero che, in occasione dell’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, il re svedese fu tentato di scrivere una lettera a Hitler per ringraziarlo di essersi preso cura della «peste bolscevica», congratulandosi con lui per le recenti vittorie (solo il suo Primo ministro, Per Albin Hannson riuscì a dissuaderlo), ma questo non basta a qualificarlo come nazista. Per contro, Gustavo V si spese molto in favore degli ebrei, anche al di fuori della Svezia. Celebre, in questo senso, un episodio accaduto tra il 1943 e il 1944, quando Niels Bohr (Premio Nobel per la fisica nel 1922, ebreo), rifugiato in Svezia, lanciò un appello pubblico perché Gustavo dichiarasse di voler dare asilo agli ebrei che avessero raggiunto le coste del Paese scandinavo. L’appello di Bohr, e la risposta positiva del re di Svezia, che avevano reso di dominio pubblico le intenzioni di deportazione tenute riservate dagli occupanti tedeschi della Danimarca, provocarono un grande sconcerto tra gli invasori nazisti e consentirono agli ebrei danesi rimasti in patria di approfittare di questa momentanea impasse tedesca per mettersi in salvo, grazie anche a una imponente “macchina” di solidarietà organizzata da danesi e svedesi.

E allora gli Abba?
Curioso che, nella campagna russa, manchi all’appello un’altra icona svedese, quella degli Abba. Perché anche qui, volendo, ci sarebbe stata materia per una nazificazione d’ufficio. Anni-Frid Synni Reuss, nata Anni-Frid Synni Lyngstad, una dei quattro componenti della celeberrima band, nacque infatti – come rivelato pubblicamente dalla rivista tedesca Bravo nel 1977 – da una donna norvegese (Synni) e da un ufficiale tedesco della Wermacht, Alfred Haase (già sposato in patria) nel quadro del cosiddetto progetto Lebensborn (Progetto di vita), una sorta di programma eugenetico nazista di selezione delle nascite ideato nel 1936 da Himmler per aumentare il tasso di “arianità” della popolazione del Reich attraverso l’unione pianificata tra tedeschi e donne straniere perfette esemplari della razza ariana. Le norvegesi, ariane per definizione, fecero la parte del leone nel progetto e dai loro rapporti forzati con gli occupanti nacquero, tra il 1941 e il 1945, dai 10 ai 12 mila bambini “ariani” divenuti cittadini tedeschi e trasferiti in Germania. Con la fine della Guerra, migliaia di documenti riguardanti i Lebensborn furono distrutti e si persero le tracce dei legami tra i bambini e le loro famiglie di origine, ma a fare le spese delle ritorsioni furono soprattutto le madri norvegesi, inserite nelle liste pubbliche come traditrici della patria, spesso abbandonate dalle famiglie, senza lavoro, e persino vittime di violenze. Lo stesso governo, sostenuto dall’opinione pubblica, attuò una legislazione punitiva esemplare, privandole della cittadinanza norvegese.