Parziale marcia indietro del governatore della Regione Lazio Francesco Rocca, dopo il “pasticiaccio” del patrocinio revocato al Roma Pride, in programma sabato 10 giugno nella Capitale, che ha sollevato aspre polemiche. «Colamarino chieda scusa per la strumentalizzazione e la manipolazione, e immediatamente ridaremo il patrocinio. Ma non c’è spazio di mediazione per l’utero in affitto», ha dichiarato Rocca a margine di una conferenza. «Il gay pride dovrebbe essere la festa di tutti, io mi ero raccomandato di non rivendicare posizioni che potessero essere lesive della morale comune».

La risposta di Mario Colamarino
La risposta di Mario Colamarino, presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli e portavoce di Roma Pride, non si è fatta attendere: «Non chiederemo scusa a Rocca, perché non abbiamo manipolato proprio nulla. Semplicemente, si sono resi conto troppo tardi di cosa sia un Pride, che tipo di rivendicazioni comporta e adesso, dopo essere stati redarguiti dai Pro Vita, hanno ritirato il patrocinio. A scusarsi con la nostra comunità dovrebbe essere il centrodestra che continuamente attacca le famiglie arcobaleno e blocca tante iniziative Lgbtq+», ha detto Colamarino all’Adnkronos. «Noi non abbiamo mai avuto alcun contatto con Rocca o con il suo staff, non è stata mai fatta alcuna promessa, non c’era alcun tema da affrontare perché il patrocinio o lo si dà o no, non esistono in questo senso condizioni. Noi crediamo di essere nel giusto, a mio avviso hanno combinato un pasticcio e stanno cercando di capire come uscirne: è una questione politica, vogliono probabilmente salvare la faccia con il loro elettorato».

Il braccio di ferro Regione-Pride sulla maternità surrogata
«La firma istituzionale della Regione Lazio non può, né potrà mai, essere utilizzata a sostegno di manifestazioni volte a promuovere comportamenti illegali, con specifico riferimento alla pratica del cosiddetto utero in affitto», aveva spiegato la Giunta annunciando la revoca del patrocinio. Motivo del contendere la maternità surrogata, sostenuta dagli organizzatori della sfilata “Queeresistenza” e invece non da Rocca, in quanto reato e «pratica che la corte di Cassazione ha definito degradante e lesiva dei diritti delle donne».