La settimana scorsa, tra stucchi e affreschi dei sontuosi saloni della seicentesca Villa Durazzo a Santa Margherita Ligure, si è tenuto un incontro per celebrare il quarantennale dalla partecipazione del Rolly Go alla Whitbread Round the World Race 1981-82, la regata attorno al mondo. Voluta da Giorgio Falck, varata a Lavagna nell’aprile del 1981 presso i prestigiosi Cantieri Sangermani, partorita dalla penna del designer delle barche a vela più belle del mondo German Frers, il Rolly Go, lungo poco più di 15 metri, oggi ormeggia placidamente nelle acque del porto di Portofino ma è pronta a navigare ancora, attendendo di prendere parte alla regata commemorativa che si svolgerà a Genova durante The Grand Finale, dal 24 giugno al 2 luglio del prossimo anno.
Il 13esimo posto nonostante il disalberamento
A raccontare la sua gloriosa storia, i due protagonisti Guido Frugnola e Andrea Henriquet. Più di 30 mila miglia in otto mesi, da Portsmouth fecero il giro del mondo in quattro tappe, fermandosi a Cape Town, a Auckland e a Mar del Plata, passando da Capo Horn e tornare in Inghilterra all’arrivo. Il Rolly Go, classificatasi 13esima, fu la barca italiana che raggiunse il miglior piazzamento dei quattro scafi italiani iscritti e riuscì a giungere al traguardo finale nonostante un disalberamento. Quali furono le motivazioni che spinsero all’epoca un industriale, un matematico, una giornalista e un ragazzo di 16 anni a fare il giro del mondo a vela lo raccontano benissimo anche un film girato in 16 mm e un libro intitolati entrambi Al vento degli oceani, in cui vengono narrate le gesta di un manipolo di sognatori composto da giovani avventurieri ed esperti marinai.

Un racconto tra onde enormi, iceberg, balene e aurore
Al centro della scena c’è ovviamente Giorgio Falck, il Re dell’acciaio, all’epoca 44 enne, fu uno dei pionieri delle regate oceaniche e a bordo si portò il figlio 16enne Giovanni, il più giovane partecipante alla gara. In un’intervista al Corriere del luglio del 1981 alla domanda se fosse vero che amasse più la barca a vela della fabbrica, Falck rispondeva: «Probabilmente la gente inverte le percentuali. Dedico l’80 per cento alle acciaierie e il 20 alla vela. Ma leggendo i giornali si ha l’impressione del contrario. Non posso farci nulla». Quel 20 per cento è stato comunque notevole e più che sufficiente per far entrare il Rolly Go nella leggenda. Al vento degli oceani risulta alla lettura paragonabile a un romanzo d’avventura infarcito di imagini favolose che ritraggono la barca sospesa quasi in una dimensione poetica, tra onde enormi di pietrificante bellezza, iceberg, aurore astrali, albatros, balene e pinguini. Non mancano anche i momenti di brivido, come il famoso disalberamento e il miracoloso recupero in mare di un uomo dell’equipaggio, caduto nel nulla durante una buia notte di tempesta.

L’atmosfera bohémienne così diversa dalla visione briatoresca della vita in barca
Particolarmente interessante è il racconto della giornalista Paola Pozzolini, unica donna dell’equipaggio dell’epoca, oltre a essere ancora oggi una delle tre donne italiane ad aver doppiato Capo Horn. Le pagine che ha scritto nella seconda parte del libro offrono un ritratto nitido di come fosse l’atmosfera prima dell’imbarco a Portsmouth: «Quello che per tutto l’anno è un flemmatico club velico inglese, affacciato sulle acque verdi del Solent, a ridosso dell’isola di Wight, si è trasformato da un mese nel quartier generale delle barche della Whitbread. Le banchine fino a ieri sono state perennemente ingombre di casse di viveri, carretti carichi di sacchi di vele, taniche barili, cordami, attrezzi e persino tre container. Invece che da dignitosi signori in bermuda blu e polo bianca, le banchine erano popolate dalle bande degli equipaggi, ragazzi un po’ bohemien, capelli lunghi, pelle abbronzata, zoccoli di legno e magliette variopinte, intenti nelle attività più diverse, ma tutte unite da un invariabile comune denominatore: la fretta». Parole che descrivono, ancora una volta, quanto sia diversa la visione briatoresca della vita su una barca (alimentata oggi dai social) da quella reale. Il Rolly Go è ancora lì a dimostrarcelo.