Si potrebbe cominciare con i numeri per raccontare cosa abbia rappresentato per il tennis. Ma per un’attenta disamina della contabilità c’è tempo, si possono consultare anche più avanti gli almanacchi. Nel giorno del suo ritiro, il senso di Roger Federer può essere affidato al pensiero geniale di David Foster Wallace, che con la sua scrittura adamantina ha fatto conoscere cosa sia stato, per lui e tanti altri, il «momento Federer», quel lampo di genialità pura che irrompe e rende visibile l’angolo invisibile fino a qualche centesimo prima. È l’arte che incrocia il tennis, la racchetta che diventa un pennello e il campo che si trasforma in una tela su cui imprimere un dipinto indimenticabile, sotto forma delle traiettorie di quella che sarebbe solo un’anonima pallina. Milioni di tifosi, suoi coetanei e non solo, hanno potuto assistere dal vivo a queste piccole grandi opere d’arte, all’eleganza come tratto innegabile anche per il più accanito dei (pochi) detrattori.

Ha giocato alla pari con under 20 fino alla soglia dei 40 anni
Come diceva Adriano Panatta ne La profezia dell’Armadillo, molti giovani oggi non si divertono più. Pensano solo al risultato, fanno dei colpi brutti, e a quel punto Panatta esalta il piacere provocato dal pof di un colpo piatto. Forse sarà anche la predica di chi invecchia, o semplicemente nostalgia di un’era meno robotica e più fantasiosa, ma di certo Federer ha rappresentato l’estetica del tennis, lo stile che conserva l’aspetto preminente sulla potenza. Ed è stato il segreto della sua longevità atletica, che lo ha portato a giocare alla pari con under 20 fino alla soglia dei 40, ragazzini che quasi avrebbero potuto essere suoi figli. Lui li batteva con nonchalance. Ma, si sa, nemmeno il talento, a un certo punto, può arginare l’incedere dell’età che avanza, il naturale logoramento del fisico. Il conto presentato è stato quello di una serie di infortuni e di un tentativo di recupero pressoché impossibile.

Che dualismo con Nadal, che forse oggi si sentirà più triste di tutti
Federer, o semplicemente Roger per gli appassionati di tennis, è l’emblema del talento maturato, dalle intemperanze della gioventù, quando era uno spacca-racchette molto testa calda, al self-control della sua maturità, che quasi lo ha fatto apparire algido di fronte alle emozioni. Eppure di emozioni ne ha regalate, ha saputo incantare anche quando – a un certo punto – era quasi diventata insopportabile il dominio della classifica, la capacità di far incetta di tornei, a volte dando la sensazione di non affaticarsi neppure. Ogni appassionato di tennis, qualsiasi amante dello sport, era ben conscio che questo momento sarebbe arrivato: era inevitabile che Federer si ritirasse perché il mito dell’elisir dell’eterna giovinezza è, appunto, solo un mito, benché sembrasse ammantato dall’aura di eternità, capace di superare indenne intere generazioni di avversari, facendo nascere quello splendido dualismo con Rafa Nadal, che forse oggi si sentirà un po’ più triste rispetto a tutti. Non potrà più sfidare il suo rivale di sempre, che tante volte ha sconfitto e da cui altre volte è stato battuto. Quasi nella consapevolezza che, anche per lui, il giorno del commiato non è poi così lontano.

Una carriera con 20 Slam conquistati e 1.251 partite vinte
Guardando nello specchietto retrovisore, suscita un moto di emozione, pensare che l’ultimo match ufficiale di Federer sia stato a Wimbledon, nel 2021, sconfitto ai quarti dal polacco Hubert Hurkacz, in quel torneo vinto per otto volte nella sua carriera. Su quei campi che sono stato il suo palcoscenico prediletto, il teatro delle sue migliori rappresentazioni. E su quell’erba in cui l’allora giovane Roger ha conosciuto la consacrazione nell’epica sfida agli ottavi, datata 2001, con un’altra leggenda del tennis, Pete Sampras. Finì in cinque set, il ventenne svizzero, ancora con un look capellone, superò l’acciaccato trentenne statunitense, annunciando a tutti quale futuro lo aspettasse. Ed è stata una carriera con 20 Slam conquistati e 1.251 partite vinte. Sono pochi numeri quelli che vogliamo raccontare, ma sono fondamentali per rendere chiara la grandezza di un campione, anche per dire che probabilmente sarà superato da un punto di vista statistico. Ma che nell’immaginario collettivo è irraggiungibile nell’olimpo del tennis.