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La riforma fiscale del governo Meloni e il poco coraggio su bonus e aliquote

Meloni aveva promesso la fine delle piccole concessioni fiscali alle singole categorie: ma la sua riforma promette di riordinare gli sconti, non di abolirli. Mentre cancellando una delle tre aliquote sui redditi si rischia di dare un incentivo a non crescere e di spingere i lavoratori qualificati verso l’estero. L’analisi.

9 Febbraio 2023 17:51 Elisa Serafini
Come il tracollo di Adani Group può affossare la crescita dell'India

«Basta con la miope politica dei bonus», recitava il programma politico depositato da Giorgia Meloni alle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Un’ambizione non da poco, se consideriamo che il “metodo bonus” proviene da una lunga tradizione italiana di leggi di bilancio orientate a concessioni a diverse categorie, meglio se politicamente ben organizzate. E così, invece che tagliare la spesa pubblica, semplificare la fiscalità e ridurre la pressione fiscale generale, i governi di tutti i colori e i partiti politici italiani hanno (quasi) sempre scelto la concessione a questa o quell’altra categoria. L’Iva agevolata alle tivù satellitari, il bonus per l’acquisto del macchinario agricolo, il bonus per le serrature e così via. In questo modo, ogni singola categoria aveva la possibilità di gioire di una piccola concessione, e ringraziare il partito in carica con il voto alle immediatamente successive elezioni locali. Una strategia miope, appunto, come scriveva Meloni, che però si ripeterà anche nel 2023, e presumibilmente per i prossimi anni. La riforma fiscale in lavorazione dal governo Meloni, almeno nelle parole del viceministro dell’Economia Maurizio Leo, sembra infatti ricalcare il medesimo metodo.

Come il tracollo di Adani Group può affossare la crescita dell'India
Giorgia Meloni. (Getty)

«Rimodulare», «revisionare» e «riordinare»: tanta fuffa

A La Stampa Leo, che è laureato in legge (come da lunga tradizione di ministri e viceministri all’Economia) parla di una riforma sui tributi, che andrà a rivedere le aliquote agevolate, e «riordinerà gli sconti fiscali». Riordinare, appunto, non abolire. Leo annuncia la volontà di «rimodulare le sanzioni», «ammodernare» le accise «senza ignorare i possibili effetti negativi sulle finanze», e, infine, «revisionare» i soggetti beneficiari di aliquote agevolate. Chiunque abbia avuto a che fare con la politica sa che i termini «rimodulare», «revisionare» e «riordinare» non vogliono dire nulla. Vengono utilizzati dai policy maker per poter parlare di un tema, offrire al pubblico l’idea che stiano lavorando a qualcosa e, alla fine, cambiare poco o nulla.

Redditi: l’abolizione della terza aliquota favorisce pochi lavoratori

Oltre a toccare (si fa per dire) i bonus, la riforma dovrebbe avere un impatto sulle aliquote sui redditi e sul trattamento fiscale dei liberi professionisti. Portare da 4 a 3 aliquote è senz’altro una semplificazione per i commercialisti, un po’ meno per i lavoratori, specialmente quelli più qualificati, che presentano redditi sopra i 50 mila euro. Al momento l’attuale sistema prevede quattro aliquote: 23 per cento per redditi fino a 15 mila euro, 25 per cento per redditi da 15.001 a 28 mila euro, 35 per cento da 28.001 a 50 mila euro e 43 per cento sopra i 50 mila euro. L’abolizione della terza aliquota (quella del 35 per cento) porta un vantaggio ad alcuni lavoratori, ma se consideriamo il costo della vita e l’inflazione, la terza (o quarta) ultima categoria rimane vessata, esattamente come prima. La platea di redditi sopra i 50 mila euro riguarda, spesso, lavoratori qualificati che hanno meno difficoltà a trasferirsi all’estero e che, ancora una volta, vedranno il proprio reddito dimezzarsi.

Matteo Salvini e il fallimentare slogan dubitativo "Credo"
I manifesti elettorali di Matteo Salvini sulla flat tax. (Getty)

Un sistema che non incentiva la carriera: meglio 40 mila euro che 55 mila…

Questo sistema non incentiva gli avanzamenti di carriera: una posizione che prevede una Retribuzione annua lorda da 55 mila euro, con responsabilità e, magari, meno tutele sindacali, potrebbe risultare meno conveniente di una posizione da 40 mila euro, con meno responsabilità, e, di fatto, non una grossa differenza salariale. Questa politica viene interpretata dai lavoratori come un incentivo a non crescere. Ma i politici non sempre lo capiscono, perché l’esperienza in azienda, tra i nostri decisori, è spesso molto scarsa. Rimane quindi, immutato, il trattamento a sfavore dei lavoratori considerati “ricchi”, nonostante il limite reddituale sia piuttosto basso, specialmente se consideriamo le aliquote di altri Paesi, che potrebbero continuare ad attrarre i noti “cervelli in fuga”.

Abolire l’Irap? Cosa troppo: servono 12 miliardi

Infine, nel programma di Giorgia Meloni si parlava anche di abolire l’Irap, l’Imposta regionale sulle attività produttive, ma servono 12 miliardi: al momento il progetto non è all’ordine del giorno. Con queste modifiche, cambierà poco o nulla per il sistema italiano. Le riforme economiche hanno l’obiettivo di generare effetti sul medio-lungo periodo, richiedono la considerazione di elementi complessi, come gli effetti e gli incentivi degli agenti coinvolti, i benefici e i costi. Ritoccare qua e là dinamiche e regole preesistenti non provocherà alcun beneficio sull’ecosistema economico: se manca la visione, manca la politica.

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