«Senza i fondi, già previsti dalla Legge di Bilancio, rischiamo di perdere il lavoro». A parlare è Marco, ricercatore del Cnr, ancora precario come centinaia di suoi colleghi. Appeso alla mancanza di una firma, quella sul decreto attuativo per la ripartizione delle risorse stanziate. «Abbiamo partecipato ai concorsi nel 2018 e le graduatorie scadono a dicembre», spiega Marco a Tag43. «Questo è l’ultimo anno per provvedere alla stabilizzazione, il tempo stringe e le preoccupazioni aumentano. Aspettiamo questo sblocco delle risorse perché, insieme a tanti altri colleghi, siamo in bilico. Oggi viviamo con contratti rinnovati di mese in mese. Non proprio la condizione ideale». E dire che questo è quanto capita ai «più fortunati». Il risultato di tanta incertezza? «Alcuni hanno già perso il lavoro, perché non hanno avuto una possibilità di rinnovo. Altri sono stati costretti ad andare all’estero. Ed è normale che ci si guardi intorno». Insomma, la solita storia, tutta italiana: un Paese che promette investimenti sulla ricerca, addirittura li inserisce a bilancio, ma poi si impantana nella burocrazia. E spalanca le porte alla fuga dei cervelli.
Manca il decreto attuativo per scongelare i 25 milioni inseriti nella Legge di Bilancio
Eppure i soldi sono già a disposizione, 25 milioni di euro inseriti nella manovra approvata a dicembre, l’ultima del governo Conte bis. Sarebbero pronti, in teoria, ma manca appunto il decreto attuativo del ministero dell’Università e della ricerca per il riparto delle risorse che, stando al testo approvato, devono essere «impiegate esclusivamente per l’assunzione di ricercatori negli enti pubblici di ricerca in modo da assicurare l’integrale copertura delle spese connesse alle attività dei ricercatori stabilizzati». In sintesi: senza il provvedimento firmato dagli uffici della ministra Maria Cristina Messa resta tutto fermo. La somma prevista è un’integrazione del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca (Foe) che destina i finanziamenti a vari enti, come il Consiglio nazionale delle ricerche, che assorbe oltre il 35% della ripartizione, l’Agenzia spaziale italiana (Asi), l’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia (Ingv) e l’Istituto nazionale di Fisica nucleare (Infn), giusto per citare i più noti. Il fondo, nel 2020, ha subito una lieve diminuzione in confronto all’anno precedente, fermandosi a 1 miliardo e 754 milioni di euro rispetto al miliardo e 773 milioni del 2019. L’incremento, dunque, eliminerebbe quel gap iniziale, facendo segnare un balzo in avanti.
Per stabilizzare tutti i ricercatori precari servirebbero almeno 50 milioni
Il caso è stato portato in parlamento, con un’interrogazione, dal deputato del Partito democratico, Gianluca Benamati, che ha ricordato i passaggi avvenuti nella discussione: «La disposizione, inserita a seguito di un emendamento parlamentare, ha recepito anche le istanze sostenute dalle organizzazioni sindacali, ma ad oggi non risulta ancora adottato il decreto di riparto del Foe». E, prosegue l’atto depositato alla Camera entrando nel merito, «si tratta di finanziamenti necessari, che consentirebbero di sostenere, almeno in parte, la stabilizzazione del personale precario, evitando così di perdere posti di lavoro e preziose professionalità» permettendo allo stesso tempo «di liberare risorse quanto mai necessarie per la vita degli enti di ricerca». C’è una certa urgenza, quindi. Benamati, interpellato da Tag43, rilancia: «È necessario fare presto, non possiamo attendere ancora. Già ci muoviamo in un contesto di carenze croniche per le risorse destinate la ricerca. In questo caso si tratta di non disperdere un prezioso patrimonio di conoscenze e di capitale umano». E c’è di più. Le risorse stanziate dalla Legge di Bilancio – cioè i 25 milioni ancora congelati – sono soltanto un aiuto alla causa: stando a quanto appreso da fonti sindacali, per garantire la contrattualizzazione di tutti i ricercatori precari, sarebbe necessario aumentare la dotazione almeno del doppio. Il decreto della ministra Messa sarebbe un primo passo, un segnale incoraggiante anche in vista dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Per tanti motivi, insomma, il riparto deve essere fatto in fretta. «Ogni mese che passa», conclude Marco, «si vive nella preoccupazione. E questo non fa bene alla ricerca».