Il calciatore ex comunista Riccardo Zampagna passa a Fratelli d’Italia e a noi torna in mente una vecchia pagina del Guardian. È un’associazione di idee un po’ strana, forse nemmeno così pertinente rispetto a quest’epoca e al rapporto fra il calcio (e i calciatori) e la politica che essa mette in scena. Era una pagina della sezione G2, che per chi conosce il quotidiano britannico è il tabloid culturale allegato al giornale che invece ha un formato tradizionale. E la storia di copertina riportava nel titolo un interrogativo perentorio: «Esisteranno ancora calciatori di sinistra?». A circa vent’anni di distanza il senso di quell’interrogativo permane, ma a patto che lo si aggiorni. Perché ci si potrebbe chiedere allo stesso modo se esistano ancora calciatori di destra. Ma forse il modo più corretto di porre il tema è interrogarsi su quale sia oggi il rapporto fra calciatori e politica, in un’epoca che richiede quantomeno un grosso ripensamento delle categorie di destra e sinistra e sposta l’impegno politico verso forme di articolazione diverse rispetto a quelle incentrate sui partiti. Per questo il clamoroso cambio di casacca (si può dire così?) di Riccardo Zampagna apre lo spazio per suggestioni che vanno oltre il caso singolo per proiettarci su un piano generale.

C’era una volta un pugno chiuso: Terni e le acciaierie
Indispensabile partire dal personaggio. Zampagna Riccardo, ex centravanti classe 1974 da Terni. La città dell’acciaio, che in questo caso è tutt’altro che una rappresentazione retorica poiché nelle acciaierie della città umbra il padre di Riccardo ha lavorato e poi si è ammalato in modo mortale. È stato lui, l’ex attaccante che ha girato l’Italia e tutte le categorie del nostro calcio, a raccontarlo quando si è trovato a parlare di vita personale e formazione politica. Le acciaierie hanno dato il pane e portato via esistenze. Ma sono state comunque l’arena per la formazione di una coscienza politica operaia tramandata di padre in figlio e rimasta vivida nonostante il figlio abbia preso una strada di carriera completamente diversa rispetto a quella del padre.

Il saluto romano esibito da Paolo Di Canio
Riccardo gira il paese per guadagnarsi da vivere come calciatore e segna in qualsiasi categoria del nostro calcio. Non nasconde mai la sua fede politica legata al variegato mondo dell’ex Pci e anzi in una determinata circostanza la esterna con un gesto che è una rivendicazione forte. Succede quando va a mostrare il gesto del pugno chiuso sotto la curva da stadio più rossa d’Italia, che per di più nella circostanza è una curva avversaria: quella dell’Armando Picchi di Livorno. Un gesto clamoroso, che peraltro avviene in un momento segnato dalle polemiche per il saluto romano esibito da Paolo Di Canio verso la curva laziale dopo un derby vinto. Sicché è conseguente costruire una contrapposizione ideologica fra i due. E non ci si rende conto che quella contrapposizione è fuori dal tempo, perché Riccardo Zampagna e Paolo Di Canio sono il residuo (anche abbastanza tardo) di un’epoca dell’impegno politico da parte dei calciatori che è tramontata da almeno un ventennio.

Poi è arrivato l’irrigidimento della comunicazione
Siamo nella prima metà degli Anni Zero e i calciatori hanno già intrapreso un percorso di disciplinamento della loro comunicazione pubblica cui si allineano in piena acquiescenza. Le società di calcio centralizzano la comunicazione dei loro tesserati e impongono rigidi codici in termini di stili comportamentali. In condizioni del genere la politica tradizionalmente intesa, fatta di contrapposizioni ideologiche e appartenenze partitiche, è davvero uno degli ultimi pruriti cui i professionisti del pallone sentano di dover cedere. Tanto più che ideologie e partiti stanno togliendo il disturbo lasciando il campo alla pura comunicazione politica, fatta di identità deboli e affiliazioni reversibili intanto che l’astensionismo si espande. E questa deriva continuerà con l’irrompere dei social, quando i calciatori (sempre che non affidino la loro comunicazione a dei professionisti) prenderanno a esternare in modo anche forsennato, ma avendo cura di tenersi a distanza di sicurezza da temi politicamente sensibili.

L’incredibile (a rileggerla oggi) inchiesta del Guerin Sportivo nel 1976
Davvero quel pugno chiuso di Riccardo Zampagna sembra una manifestazione d’identità politica in ritardo rispetto al tempo, così come lo sono le frasi di Cristiano Lucarelli (altro centravanti di sinistra che nasce nella generazione sbagliata), quando in un dopo-partita avvelenato da torti arbitrali dichiara che nella stagione precedente sono retrocesse dalla Serie A verso la Serie B soltanto squadre le cui tifoserie sono schierate a sinistra. E se si pensa a una vecchia inchiesta pubblicata dal Guerin Sportivo nel 1976, sotto la direzione di Italo Cucci, si ha la netta sensazione di aver visto stratificare delle ere geologiche.
Pazzesco (e oggi impensabile) servizio del Guerin Sportivo con le dichiarazioni di voto di 300 calciatori prima delle Politiche 1976. Curiosità: Mazzola come Rivera (Dc), Ulivieri col Psdi (!), Capello repubblicano, un solo Radicale, nella Lazio il più di sinistra è democristiano pic.twitter.com/85eiWPDS7M
— Stefano Cappellini (@il_cappellini) October 18, 2020
Oggi i calciatori faticano a rispondere anche sul meteo
Alla vigilia delle politiche del 1976, la seconda volta nella storia in cui il Paese va a elezioni anticipate e la prospettiva del sorpasso del Pci sulla Democrazia cristiana pare concreta, il settimanale bolognese pubblica un’inchiesta in cui vengono riportate le intenzioni di voto dei calciatori che militano in Serie A. Rispondono in circa 300 e questo ci fa capire che era davvero un altro mondo. Adesso, al di fuori dei rigidi canali predisposti dalla comunicazione dei club, i calciatori non rispondono nemmeno a domande sul meteo. Ma forse non risponderebbero comunque, se anche fosse ancora possibile chiedere loro informazioni sulle intenzioni di voto. È cambiato il panorama, è cambiata la politica e i calciatori ritengono di farne abbastanza prendendo parte alle iniziative di solidarietà organizzate dalle leghe e celebrate con l’esposizione delle maglie tematiche nel pre-partita. I soli voti che contano sono quelli in pagella, per i quali sembra che ancora qualcuno dei protagonisti delle nostre domeniche calcistiche (che nemmeno sono più domeniche) prenda cappello.

Uno spettacolo in cui non si prende più posizione, come in Qatar
Per questo, tornando al quesito posto a suo tempo dal Guardian, si rischia di ragionare su un’ideologizzazione del calcio di cui non c’è più traccia. All’epoca il quotidiano inglese rifletteva sul fatto che i calciatori della ricchissima Premier League fossero diventati una nuova élite economica dopo che per lungo tempo, in conseguenza vocazione popolare del calcio, erano stati percepiti come parte del passatempo della classe operaia (in contrapposizione col rugby delle classi borghesi). E invece non era questione di sinistra né di destra. Il calcio è diventato post-ideologico, puro spettacolo che ha difficoltà a prendere campo pure su temi pre-politici quali i diritti della persona, come dimostrato dal recente Mondiale in Qatar. E altrettanto post-ideologica, del resto, è stata la spiegazione data da Zampagna del passaggio dalla tradizione comunista a quella post-fascista con la candidatura alle comunali sotto le insegne di Fratelli d’Italia. Nessuna conversione ideologica, ma più modestamente l’intenzione «di dare la sveglia alla città» di Terni. E davvero non si capisce il senso e il nesso, ma non importa. Soltanto una frase messa lì, nel tritacarne di una comunicazione politica che alla missione di produrre senso ha rinunciato da un pezzo.