La scenata-sceneggiata di Riccardo Muti martedì sera nei camerini della Scala, secondo quanto riportano i giornali che se ne sono occupati (c’è stato anche chi ha minimizzato o è andato in cerca di dettagli divaganti e francamente insignificanti) è stata troppo lunga e insistita per derubricarla a uno sfogo del momento, a un malumore passeggero non si capisce bene da che cosa determinato. Colpisce nel resoconto della Repubblica, che ha svelato per prima l’episodio, il fatto che non ci sia stato solo il faccia a faccia con Riccardo Chailly, che definire sgradevole è poco, ma che in seguito – alla presenza di una schiera di sostenitori accalcati in corridoi e anticamera con sprezzo di ogni rischio da assembramento – il direttore napoletano abbia proseguito in una sorta di intemerata contro le gestioni di vari teatri e non solamente della Scala. Principale capo d’accusa, la mancata o non sufficiente attenzione per i suoi progetti.
La carriera di Muti si avvicina alla fase del tramonto
Alla vigilia degli 80 anni (li compirà il 28 luglio), Muti sta attraversando un periodo allo stesso tempo denso di iniziative e di presenze, ma anche segnato da un notevole nervosismo. Effetto della pandemia, certo, che dallo scorso febbraio ha prima bloccato ogni attività musicale in teatri e sale da concerto, e poi ha visto ripartenze a singhiozzo condizionate dalle differenti regole in campo internazionale. Ma forse effetto anche della percezione che una fase della sua carriera è ormai vicina alla conclusione. Sempre salvo sorprese, comunque possibili visto il personaggio.

La fase al tramonto è quella degli incarichi stabili. L’artista che è stato il “dominus” indiscusso della Scala per quasi un ventennio, fino alla traumatica rottura del 2005, e che in precedenza aveva retto per 12 anni (fino al 1980) le sorti del Maggio Musicale Fiorentino; il direttore principale del Festival di Pentecoste a Salisburgo dal 2007 alla 2011, a capo della Philadelphia Orchestra dal 1980 al 1992, vede avvicinarsi il momento in cui i suoi molteplici e continuativi incarichi internazionali lasceranno il posto – in via stabile – soltanto alla pur importante attività domestica. Si parla delle iniziative nella Ravenna natia della moglie Cristina Mazzavillani, fondatrice e presidente onoraria del festival che si tiene nella città romagnola, del quale da tempo il musicista è una delle colonne. E delle presenze nei principali teatri italiani.
La fine del contratto di Muti con la Chicago Symphony Orchestra
Nell’estate del 2022, infatti, si concluderà il contratto che dal 2010 lega Muti alla prestigiosa Chicago Symphony Orchestra in veste di direttore musicale. Il consiglio di amministrazione della storica istituzione ha già reso noto che non procederà a un ulteriore rinnovo. Colpisce che Muti non abbia parte attiva nei concerti in presenza di pubblico, i primi dal marzo 2020, che si svolgeranno tra la fine di maggio e la metà di giugno nella “casa” dell’orchestra, il Symphony Center. Ma anche questo è in fondo un piccolo segnale del fatto che il direttore è ormai orientato sull’Italia, come del resto dimostrano i suoi impegni recenti e futuri: rappresentazioni operistiche al Regio di Torino, al Maggio Fiorentino, in giugno inaugurazione del festival lirico all’Arena di Verona con un’Aida in forma di concerto; numerose serate in giro per la Penisola, alcune con i Wiener Philharmoniker, molte con la sua Orchestra Giovanile Cherubini o alla guida delle formazioni stabili delle Fondazioni lirico-sinfoniche; prosecuzione della “Riccardo Muti Opera Academy”, creata nel 2015 sempre a Ravenna, la cui prossima edizione si terrà in dicembre.
Muti, Grillo parlante della cultura italiana ascoltato da Franceschini
Da tempo, Muti si è disegnato un ruolo di “Grillo parlante” della cultura italiana e specialmente della musica, non di rado sussiegoso ma autorevole, in virtù di una notorietà che travalica il mondo degli appassionati della musica colta. Gode di quasi incondizionata buona stampa, è molto ascoltato dal ministro Franceschini (che se decide di assistere a qualche evento musicale, è quasi sempre perché c’è lui) e molto considerato a livello di pubbliche contribuzioni. L’orchestra Cherubini ha ottenuto nello scorso autunno, nel cuore della seconda ondata, un contributo “extra Fus”, cioè straordinario, di 686 mila euro. Quasi il triplo di quanto è andato alla European Union Youth Orchestra basata a Ferrara, che si è fermata a 250 mila euro.

La decisione di Meyer e la rivalità con Chailly
A maggior ragione, allora, stupisce il “numero” senza precedenti inscenato dopo il concerto alla testa dei Wiener alla Scala. E fra l’altro suonano pretestuose le citazioni del concerto di riapertura diretto da Toscanini nel teatro del Piermarini riedificato a tempo di record dopo la guerra. Il fatto è che il sovrintendente Dominque Meyer avrebbe fatto una gaffe, se avesse lasciato che il primo concerto in presenza di pubblico fosse quello dei Viennesi, sia pure guidati da Muti. Ma certo, la serata precedente affidata a Chailly e ai complessi scaligeri deve aver fatto scattare nel maestro napoletano un atteggiamento insolito perfino per lui, che pure non ha fra le sue maggiori virtù una francescana umiltà. Come se, a distanza di 16 anni, non avesse ancora elaborato e superato il vulnus della sua uscita dal teatro che aveva diretto per 20 anni e che nel marzo 2005 gli votò una sfiducia quasi unanime. Allora, però, l’oggi insolentito Chailly – da giovane, assistente di Claudio Abbado – era lontano: stava a Lipsia, dov’era direttore musicale dell’Opera e dell’orchestra del Gewandhaus. Invece, di Riccardo Muti si diceva che un suo riavvicinamento alla Scala fosse ormai maturo. Anche se non aveva mancato di destare sorpresa l’annunciata presenza del direttore alla Fondazione Prada, per un Nabucco proprio nei giorni della prossima inaugurazione con Macbeth, il 7 dicembre. A questo punto, riavvicinamento fallito.