Franck Ribery alla Salernitana. No, non è un colpo di mercato messo a segno nei giochi per computer come Football Manager. E nemmeno roba da Fantacalcio, anche se potrebbe sembrarlo. Il campione francese ha davvero firmato per gli amaranto e dai prossimi weekend delizierà il pubblico dell’Arechi con le sue giocate, più rare che in passato, va precisato, ma comunque argomento per palati fini. Per i tifosi campani, abituati loro malgrado più alle serie minori che ai fuoriclasse stranieri, è un sogno che si avvera. Ma non sono i primi a potersi fregiare di un simile talento. Ecco chi sono gli altri grandi stranieri del calcio che nel nuovo millennio hanno speso gli ultimi (o quasi) spiccioli di carriera nella provincia italiana.
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I grandi campioni stranieri che hanno chiuso la carriera in provincia
Pep Guardiola, a Brescia con Baggio e Mazzone
Quando nel 2001 Pep Guardiola è arrivato in Serie A, non era certo vecchio. Ma logoro sì. Catalano doc, nel decennio precedente era stato la pietra angolare del Dream Team guidato da Cruyff, ma poi a causa di una serie di infortuni aveva progressivamente perso il ruolo centrale nel Barcelona, lasciato nel 2001 per approdare a sorpresa al Brescia, con l’obiettivo di riconquistare la nazionale. Provincia italiana, certo, ma con Roberto Baggio come compagno di squadra. Positivo due volte al nandrolone, Guardiola ha vissuto una prima stagione in Italia decisamente complicata e, terminato il contratto annuale con il club lombardo, si è trasferito alla Roma. La parentesi giallorossa della sua carriera è però durata appena sei mesi, fino a gennaio 2003, quando ha fatto retromarcia, tornando da Baggio e Mazzone, maestro con cui voleva ancora lavorare. Pep ha lasciato definitivamente l’Italia nel 2003, proseguendo la carriera con le maglie di Al-Ahly Doha e Dorados, in Qatar e Messico. 26 le presenze con le Rondinelle, condite da 3 reti.
Oliver Bierhoff, un campione per il Chievo
Oliver Bierhoff ha chiuso la carriera da calciatore in una piccola, che però l’anno precedente all’esordio in A si era comportata da grandissima: il ChievoVerona di Delneri, che nel 2002/03 chiuse il campionato al settimo posto. Il campione tedesco ci è arrivato a 34 anni, dopo un anno nel Principato di Monaco, lo scudetto vinto con il Milan (1998/99) e il titolo di capocannoniere conquistato con l’Udinese (27 gol, 1997/98). Bierhoff nella provincia italiana, in fondo c’era già stato. Nelle Marche. Sfruttando la corsia preferenziale con la Germania, l’Inter lo aveva prelevato nel 1991, dopo una grande stagione disputata al Salisburgo in Austria, dove era finito in prestito dal Borussia Mönchengladbach. Ma invece di testarlo, i nerazzurri lo spedirono temporaneamente all’Ascoli. Qui si sarebbe dovuto fare le ossa, raccogliendo l’eredità di Walter Casagrande. La stagione finì malissimo per l’attaccante (2 gol) e per i marchigiani, retrocessi in B, mentre Bierhoff disputò altre tre stagioni con l’Ascoli, sempre nella serie cadetta, per poi passare all’Udinese. Tornando al Chievo, Bierhoff terminò l’annata e la carriera con 7 reti in 26 presenze in Serie A.
Mario Jardel, ad Ancona in sovrappeso
L’Ancona stagione 2003/04 diventerà suo malgrado una squadra di culto: un’accozzaglia numericamente enorme di calciatori, capace di raccogliere appena 13 punti in campionato, con due vittorie arrivate a retrocessione già sancita. In quell’organico immenso, c’era anche Mario Jardel: due volte Scarpa d’Oro, in cinque occasioni top scorer della Primeira Liga portoghese, unico calciatore capocannoniere sia in Copa Libertadores che in Champions League. Quando venne ingaggiato dall’Ancona, non era certo vecchio: aveva appena compiuto 30 anni, ma dopo una serie di stagioni eccezionalmente prolifiche tra Portogallo (Porto e Sporting) e Turchia (Galatasaray), era già in fase calante e, ancora peggio, visibilmente sovrappeso. Appena tre le presenze (senza gol) raccolte in una squadra alla deriva, a cui si aggiunse il tracollo personale, cominciato con la mancata convocazione al Mondiale 2002 e la separazione dalla moglie. Mario Jardel ha continuato a giocare – senza tornare più l’implacabile macchina da gol – fino al 2012, con tappe nei campionati di Cipro, Australia, Bulgaria e Arabia Saudita.
Rafa Márquez, el gran capitan di Verona
Considerato il miglior difensore della storia del Messico e più in generale uno dei più grandi calciatori del suo Paese, Rafa Marquez è stato messo sotto contratto dall’Hellas Verona nell’estate del 2014. A 35 anni suonati, aveva alle spalle oltre 120 presenze in nazionale con quattro Mondiali disputati (sarebbero poi diventati cinque), 11 stagioni in Europa, tra Monaco (1999-2003) e Barcelona (2003-2010), in cui aveva messo in bacheca cinque campionati e due Champions League. Le ultime quattro, invece, le aveva trascorse vestendo le casacche di New York Red Bulls e Leon. Un po’ lontano dal calcio vero, così la firma era stata accompagnata da qualche dubbio. Fondato, dirà il campo, dato che in una stagione e mezza Marquez ha collezionato 35 partite, condite da tre espulsioni, senza mai aver offerto un rendimento in linea col suo grande passato. Il 21 dicembre 2015 ha salutato l’Italia per tornare in patria all’Atlas, dove aveva esordito da professionista nel lontano 1996.
Javier Saviola, un conejo al Bentegodi
Barcelona, Monaco ed Hellas Verona: tre tappe presenti anche nella carriera da promessa non mantenuta di Javier Saviola. El Conejo è arrivato al Bentegodi nel 2014, dopo un decennio di prestazioni altalenanti speso tra Spagna, Francia, Portogallo e Grecia, dove aveva comunque raccolto un bel numero di trofei. Classe ‘81, quando ha firmato con gli scaligeri il primo settembre, nell’ultimo giorno di calciomercato, non aveva ancora 33 anni e veniva da un anno all’Olympiacos con 14 reti in 30 presenze. Una buona media, decisamente diversa da quella che ha poi ottenuto nella sua breve esperienza italiana: 16 partite disputate tra Serie A e Coppa Italia, appena due i gol messi a segno. L’estate successiva è tornato al River Plate, club argentino nel quale era esploso da ragazzino, giusto in tempo per vincere la Copa Libertadores. E chiudere con un sorriso la carriera.
L’isola felice di Diego Godín
Non è solo per il Principe Enzo Francescoli. Che ci sia un filo diretto tra Cagliari e l’Uruguay, è risaputo. Un legame radicatosi in decenni di trasferimenti dal Sud America alla Sardegna. Eppure che nell’estate del 2020 il capitano e calciatore con il maggior numero di presenze nella Celeste, ovvero Diego Godín, potesse approdare sull’isola, sembrava troppo anche al più ottimista dei tifosi. Invece, complice una stagione in tono minore all’Inter e la volontà della moglie Sofia di tornare nella sua città natale (è figlia, guarda caso, dell’ex calciatore rossoblu Pepe Herrera), l’ex bandiera dell’Atletico Madrid ha firmato proprio con il Cagliari. Come nella stagione precedente, la squadra ha rischiato la retrocessione e non si può dire che Godín abbia spiccato rispetto ai compagni. A lungo è stato sul punto di partire, per una nuova esperienza calcistica. Dopo alcune frizioni, è rimasto invece in rosa e adesso si parla già di rinnovo fino al 2024. Il calcio, si sa, è un posto strano.
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