Mahler, la Resurrezione di Castellucci è un riuscito pugno nello stomaco

Cesare Galla
17/07/2022

La morte aleggia inesorabile sulla Sinfonia della Resurrezione. E Romeo Castellucci, al festival di Aix-en-Provence, la pone al centro della scena rappresentando il crudo e disturbante ritrovamento di una fossa comune. Un pugno nello stomaco ben assestato. La recensione.

Mahler, la Resurrezione di Castellucci è un riuscito pugno nello stomaco

Il titolo della Seconda Sinfonia di Mahler, Resurrezione, deriva da un testo intonato nell’ultimo movimento. La monumentale partitura (scritta fra il 1888 e il 1894) si conclude infatti con un coro che canta alcuni versi tratti dal poema sacro Messias del poeta tedesco settecentesco Friederich Klopstock: “Risorgerai, sì, risorgerai / Mia cenere dopo breve riposo”. In realtà, l’apertura alla speranza che deriva dalla professione cristiana di fede giunge al termine di un lungo percorso musicale durante il quale, invece, il compositore si arrovella angosciosamente e medita dolorosamente sulla morte e sul senso della vita rispetto al destino ultimo e comune a tutti.

Il primo movimento fu dallo stesso Mahler definito Totenfeier, rito funebre. Il quinto e ultimo, che dura quasi metà della Sinfonia stessa, prima della chiusa un po’ più serena del coro citato è intessuto di riferimenti musicali al primo movimento e vi compare ripetutamente il motivo legato tradizionalmente al Dies Irae. Ma un’atmosfera sinistra avvolge anche il movimento precedente, nel quale un contralto intona uno dei testi della raccolta di rime popolari Das Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo), intitolato Luce primigenia, nel quale la voce narrante si augura di essere in cielo, perché “Io sono venuto da Dio e a Dio voglio tornare”.

Mahler, la Resurrezione di Castellucci è un riuscito pugno nello stomaco
Il cavallo bianco con cui si apre Resurrezione.

La lettura attuale e sconvolgente di Castellucci

La morte, insomma, aleggia inesorabile sulla Sinfonia della Resurrezione. Ed è quindi plausibile che Romeo Castellucci, nell’affrontare per il festival di Aix-en-Provence una versione “rappresentativa” di questa musica, abbia fatto della morte il centro del suo discorso. Résurrection si svolge in un palazzetto dello sport abbandonato e fortemente degradato (elemento fondamentale dello spettacolo) e si configura come una sorta di Trionfo della Morte nel XXI secolo, nel quale l’immaginario medievale si trasforma in terrificante e concreta visione contemporanea, così come la viviamo oggi tutti i giorni, amplificata dai mezzi di comunicazione di massa e deformata dai canali sociali su Internet. Una lettura così attuale e sconvolgente che il regista (e come sempre nei suoi spettacoli anche scenografo, costumista e light designer) ha sentito il bisogno di chiarire che la sua idea risale a un anno fa, prima che la Russia invadesse l’Ucraina. Ma naturalmente non prima degli episodi terribili che hanno costellato nella nostra quasi indifferenza i decenni presuntamente pacifici della cosiddetta globalizzazione.

Mahler, la Resurrezione di Castellucci è un riuscito pugno nello stomaco
Una scena di Resurrezione.

Allo Stadium de Vitrolles il pubblico assiste al ritrovamento di una fossa comune

Ciò a cui assiste il pubblico dentro allo Stadium de Vitrolles (e che ora si può vedere liberamente su Artè in un film sofisticato, assai ben elaborato, che offre anche immagini in soggettiva e montaggi di spezzoni registrati in altri momenti) è la cruda, disturbante messa in scena del ritrovamento di una fossa comune e del recupero di un grande numero di cadaveri, anche di bambini piccolissimi, vittime di un eccidio. Il palcoscenico di questo spettacolo, oltre l’enorme buca d’orchestra necessaria a contenere l’organico richiesto da Mahler, è una vasta distesa di terra grigiastra e fangosa. Ancor prima che la Seconda Sinfonia dispieghi i suoi inquietanti paesaggi sonori, tocca a un cavallo bianco, capitato lì per caso dopo essere sfuggito al suo custode, “scoprire” che c’è qualcosa che non va, in quella terra un po’ smossa. Comincia la musica, nasce il sospetto di qualcosa di tragico, viene dato l’allarme, arrivano squadre dell’UNHCR bardate in tuta bianca, un po’ alla volta si scopre l’orrore e comincia il recupero dei cadaveri. Sembrano pochi, all’inizio. Si riveleranno essere ben più di 100. Arrivano due furgoni, si fa strada una piccola escavatrice per aiutare gli addetti che fino a quel momento hanno scavato a mani nude, sulla superficie grigiastra vengono ordinatamente disposti i sacchi banchi per il trasporto, sui quali sono adagiati e poi rinchiusi tutti quei poveri corpi, gli abiti che indossavano ridotti a pochi stracci.

Mahler, la Resurrezione di Castellucci è un riuscito pugno nello stomaco
Una delle scene finali di Resurrezione.

Ambiguità e kitsch sono anche elementi costitutivi anche della musica mahleriana

La combinazione fra immagini e musica è singolare. La Sinfonia di Mahler non è mai ridotta a banale colonna sonora: finisce semmai per diventare una sorta di “proiezione” dei pensieri di coloro i quali stanno compiendo quel pietoso e orrendo dovere, che non di rado manifestano sgomento, choc, un umanissimo rifiuto di fronte all’orrore. E l’aspetto più singolare e che più coinvolge è la “sincronia”, se così si può dire, secondo cui il discorso musicale mahleriano coincide con gli eventi rappresentati: scoperta, recupero, ricomposizione e avvio dei corpi agli accertamenti necroscopici e a una degna sepoltura si svolgono per così dire in tempo coordinato rispetto a larga parte della Sinfonia. Dopo un’ora e un quarto di musica, dopo un viaggio da incubo dentro la visione della morte nel suo aspetto più efferato e attuale, senza che nulla sia parso affrettato o rappresentato in termini di fiction, la scena torna com’era all’inizio: una deserta distesa di fango, solo un po’ più smossa. È in questo momento, a metà dell’ultimo movimento, che inizia la tardiva (e in verità solo apparente) rappacificazione di Mahler con se stesso e con i suoi incubi. Per Castellucci, il senso della speranza nella Resurrezione è una grande pioggia che inizia a cadere sulla scena. Simbolismo ambiguo, che lascia la strada aperta a ogni interpretazione. Tanto quanto il cavallo bianco dell’inizio, immagine che sfiora il kitsch. Ma ambiguità e kitsch, in fondo, sono elementi costitutivi anche della musica mahleriana.

Mahler, la Resurrezione di Castellucci è un riuscito pugno nello stomaco
Esa-Pekka Salonen dirige l’Orchestre de Paris.

L’Orchestre de Paris diretta da Esa-Pekka Salonen convince, egregio l’apporto delle voci soliste

Quanto all’esecuzione, sul podio della magnifica Orchestre de Paris c’è Esa-Pekka Salonen (memorabili le sue immagini in primo piano con alle spalle gli astrusi, sgargianti graffiti di cui è disseminato lo Stadium de Vitrolles), protagonista di un’interpretazione di serrata tensione, che nulla concede alla maniera tardoromantica ed esalta con vibrante forza espressiva la modernità del compositore boemo. Per Salonen la Seconda Sinfonia è un sofferto, frammentario percorso interiore: un itinerario musicale fatto di improvvise illuminazioni, di lungaggini evasive, di ingenuità formali, di abbaglianti intuizioni. Una pagina complessa e a tratti urticante, realizzata in maniera da rendere immediato il rapporto con lo spettacolo: un continuo passaggio fra soggettivo (ciò che viene suonato) e oggettivo (ciò che viene rappresentato). Perché, diceva lo stesso Mahler di questa sua composizione, «dall’essenza della musica è facile comprendere che poi spesso in diversi singoli passi io immagino che davanti a me si svolga un evento reale, al modo, per così dire, di una rappresentazione drammatica». Egregio anche l’apporto delle voci soliste, lo svettante e intenso soprano Golda Schultz e il contralto Marianne Crebassa, fascinoso timbro morbido e linea di canto di magnifica sottigliezza. Impeccabile per coesione e forza il coro dell’Orchestre de Paris, istruito da Marc Korovitch.

Mahler, la Resurrezione di Castellucci è un riuscito pugno nello stomaco
Il coro.