Se son rose fioriranno. Al momento però i rovi rischiano di soffocare anche uno dei pochi germogli ancora in vita del campo largo. Si tratta della Regione Lazio che sta per archiviare la stagione zingarettiana, dopo l’elezione alla Camera dell’attuale governatore. Qui, fino a ora, ha retto infatti l’alleanza Pd-M5s allargata a Italia viva e Azione, tant’è che almeno fino alle passate Amministrative la Pisana era considerata un modello. Ma anche sul laboratorio Lazio i contraccolpi della campagna elettorale per le Politiche, e soprattutto il divorzio tra dem e cinque stelle, rischiano di condizionare le prossime imminenti scelte. Con buona pace di chi, a cominciare dal segretario regionale del Partito democratico e uomo forte della corrente di Dario Franceschini, Bruno Astorre, si ostina a predicare che piano nazionale e locale vadano tenuti distinti.
Boccia e gli altri dem che tifano campo largo
A rendere più complicata la partita è senza dubbio la tempistica. In base a quando l’attuale governatore rassegnerà le dimissioni sarà decisa la data del voto in Regione. Tra gennaio e febbraio, comunque, gli elettori saranno chiamati alle urne. Prima, quindi, che il Pd si sarà dato una nuova guida. L’autoanalisi nel partito è appena iniziata, con una direzione fiume in cui ieri l’unico aspetto su cui i dem si sono trovati d’accordo è il no a sciogliersi e a cambiare nome. Il problema è che, appunto, mentre la principale forza politica di opposizione è alle prese con un profondo travaglio interno, il Lazio non aspetta. E a un campo più o meno largo sono legate le chance di mantenere o perdere il governo della Regione. Al Nazareno a tifare campo largo c’è sicuramente l’ex ministro Francesco Boccia, non fosse altro perché già alle passate Amministrative ha macinato chilometri da Nord a Sud del Paese per chiudere quante più intese possibile con il partito di Conte. A parte i dichiaratamente contrari (da Luigi Zanda a Matteo Orfini, passando per Giuseppe Fioroni), c’è da dire che sono tanti, a voto archiviato, i democratici folgorati sulla via di Damasco che hanno ricominciato a predicare la necessità di riaprire il dialogo con i grillini. Uno su tutti il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, tra i più accreditati a correre per la segreteria nazionale.

Il muro di Conte: «Non cederemo su nulla»
Salvare quest’alleanza, però, non è al momento la priorità nel quartier generale di via Campo Marzio. Il partito di Giuseppe Conte, forte dei risultati ottenuti alle Politiche contro i pronostici e i sondaggi agostani, adesso sa bene di avere il coltello dalla parte del manico. Non è un caso che il refrain ormai sia sempre lo stesso, cioè nessun dialogo con gli attuali vertici del Pd. Non solo, ma già in campagna elettorale il leader M5s aveva preventivamente tracciato una rotta precisa rispetto al lavoro futuro con altre forze politiche all’insegna della prudenza e dell’intransigenza: «Non cederemo su nulla». Una linea che non è cambiata, come conferma a Tag43 il parlamentare rieletto e vicepresidente M5s Mario Turco: «Il metodo di lavoro non si cambia e quindi vale anche per il Lazio. C’è l’ascolto del territorio, innanzitutto: i vertici nazionali si confronteranno con le comunità locali per poi valutare e decidere. È chiaro che per quanto riguarda le possibili interlocuzioni con gli attuali vertici del Pd e di altre formazioni politiche oggi non ci sono le condizioni di dialogo. Abbiamo un’agenda progressista e da quella non ci spostiamo. Sui nostri temi non faremo passi indietro». «Se», aggiunge, «ci saranno forze politiche che li condivideranno ne valuteremo la serietà». C’è da dire, inoltre, che la corsa in solitaria dei pentastellati in Sicilia non è proprio un buon presagio per chi spera e tifa nel campo largo in salsa laziale. Il Movimento, infine, dovrà necessariamente tener conto delle spinte centrifughe che albergano al suo interno. La corsa con una lista civica, qualora dovesse profilarsi un’intesa M5s-Pd, dell’ex sindaca Virginia Raggi, seppure smentita, è più di un campanello d’allarme nel quartier generale contiano.

Tra i dem continuano a farsi i nomi di D’Amato e Leodori
Fin qui i tormenti dei due principali giocatori in campo. Ma a completare il quadro ci sono anche i comprimari (almeno guardando alle percentuali di voto) e cioè Matteo Renzi e Carlo Calenda, ora uniti nel Terzo polo: entrambi restano fermi e determinati sul no all’alleanza con i cinque stelle. Naturalmente i nomi in campo, che circolano da mesi, sono legati a doppia mandata allo scenario che andrà configurandosi. Anzi, come dice a Tag43 un esponente di peso del Pd laziale, «al momento sono congelati. Non ci sono certezze». Ai blocchi di partenza, comunque, ci sarebbe sempre l’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato, che ha guadagnato visibilità con la gestione della pandemia e che non dispiace ad esempio al leader di Azione Carlo Calenda. Un’ipotesi che potrebbe rafforzarsi qualora nel Pd prevalesse la linea della rottura con il M5s. «In questo caso, D’Amato potrebbe ottenere l’ok anche del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, soprattutto se si concretizzasse», continua il piddino laziale, «il tentativo del primo cittadino di portare in maggioranza al Campidoglio Italia viva e Azione». Oltre a D’Amato, resta in partita il numero due di Zingaretti, Daniele Leodori, esponente di spicco di Areadem (la corrente di Franceschini molto influente sul territorio) e soprattutto espressione del campo largo nel Lazio, visti i buoni rapporti con la pentastellata Roberta Lombardi, assessora uscente dell’attuale Giunta.

Sul M5s laziale pesa il nodo inceneritore e il caso Pomezia
Lo spartiacque delle Politiche però pesa. Non solo, ma nell’ottica pentastellata incidono soprattutto le vicende locali, sulle quali la stessa Lombardi e la sua collega di partito in giunta, Valentina Corrado, non possono facilmente passare sopra. L’ostacolo non è rappresentato soltanto dalla questione capitolina dell’inceneritore fortemente voluto dal primo cittadino. Scotta molto pure il caso Pomezia con la caduta della giunta grillina guidata fino al mese scorso dal pentastellato Adriano Zuccalà. Operazione che porta la firma tra gli altri proprio del Partito democratico. Che la ferita sia aperta lo dimostrano le parole dello stesso Zuccalà che a fine agosto in un post sui social parlava di «gesto vigliacco nelle segrete stanze di un notaio». Pomezia, inoltre, è la città dell’assessore Corrado e questo rende ancora più evidente quanto sia complicato, se non impossibile, per il M5s in questo momento pensare di aprire le porte al dialogo col Nazareno. Di contro, da queste parti l’ipotesi di una corsa in solitaria non è affatto esclusa. E c’è anche un nome che tra i cinque stelle comincia a prendere forza in queste ore. Si tratta del prorettore per la sostenibilità della Sapienza Livio De Santoli, cui Conte ha già affidato il delicato dossier della transizione ecologica e che è rimasto fuori dal Parlamento.
L’ombra di Fratelli d’Italia che in Lazio ha superato il 30 per cento
Il dossier Lazio, comunque, è davvero in alto mare. Forse qualche schiarita potrebbe arrivare dalla direzione regionale dem fissata per l’11 ottobre. È quello che si augura Marco Miccoli, membro della direzione nazionale ed esponente del Pd romano. Per lui la rotta da seguire è una sola e cioè «il campo largo»: «Va respinto l’ultimatum di Renzi e Calenda», insiste, «perché nel Lazio senza i cinque stelle non si vince, ma soprattutto perché con loro abbiamo condiviso un’importante esperienza di governo regionale. Non solo, ma per me questa volta il Pd deve mostrarsi generoso, anche rinunciando, se serve, a una propria candidatura in modo da poter scegliere con tutti gli altri un nome che possa tenere insieme l’alleanza». Certo, mai come adesso sulle scelte del centrosinistra peserà l’ingombrante presenza del partito di Giorgia Meloni che ha primeggiato nel Lazio, superando il 30 per cento. Una sorta di memento mori che potrebbe scuotere tutto il presunto campo largo. A meno che ciascuno decida di rimanere arroccato nel proprio fortino, il Pd dilaniato dalla paura di consegnare la bandiera della sinistra a Conte, il M5s illuso da una nostalgica presunzione di autosufficienza e Calenda rigido nella sua conventio ad excludendum…