Kais Saied ha vinto. E la Tunisia, culla delle Primavere arabe, rischia di cancellare il percorso democratico finora compiuto tornado indietro di 12 anni. Secondo gli exit poll, tra il 92 e il 93 per cento degli elettori ha infatti votato sì al referendum del 25 luglio approvando così la nuova Costituzione voluta dal presidente, che rafforza in senso autoritario i poteri del capo dello Stato. La consultazione è stata segnata da una astensione record (ha votato solo il 27,5 per cento dei 9,3 milioni di aventi diritto), dovuta anche al boicottaggio dei partiti di opposizione che hanno gridato al colpo di Stato. Senza un quorum minimo e con l’astensione dei contrari, la vittoria era già scritta. Il referendum è solo l’ultimo capitolo del golpe silenzioso messo in atto da Saied. Eletto nel 2019 senza alcun partito di riferimento, questo professore universitario di 64 anni un anno fa aveva licenziato il governo e congelato il parlamento, governando a suon di decreti. E ora si appresta a regnare in una Repubblica iper presidenziale.

La Tunisia a rischio default, tra effetti della pandemia e stop alle importazioni di grano ucraino
Dopo l’annuncio dei primi exit poll, centinaia di sostenitori del presidente sono scesi in Avenue Bourguiba, cuore di Tunisi, per festeggiare la vittoria. Ad aver sostenuto Saied sono soprattutto i ceti medi in sofferenza, chi si sente truffato economicamente, politicamente e socialmente, ha spiegato a Libération il direttore dell’istituto di sondaggi Sigma Conseil Hassen Zargouni. La Tunisia, già alle prese con una crisi economica aggravata dalla pandemia Covid e dalla guerra in Ucraina (Paese da cui dipende per le importazioni di grano), tanto da negoziare con il Fmi un nuovo prestito per evitare il default, è sempre più polarizzata e divisa da quando Saied ha di fatto assunto pieni poteri il 25 luglio 2021. A votare sono stati due grossi blocchi, spiega ancora Zargouni, «la pare modernista del Paese», a tratti nostalgica del dittatore Ben Ali, e il «fan club» del presidente, composto soprattutto da giovani.

La svolta iper-presidenzialista: i poteri di Saied
La controversa Costituzione concede vasti poteri al presidente. Sarà lui a nominare il capo del governo e gli altri membri del gabinetto su proposta del primo ministro e potrà anche destituirli a suo piacimento. Il presidente potrà anche sciogliere il parlamento ma nei suoi confronti non è prevista alcuna procedura di impeachment. Può inoltre dettare l’agenda dei lavori delle Camere, dando priorità ad alcune leggi. Il governo sarà responsabile nei confronti del presidente e lo assiste nell’esercizio del potere esecutivo. Una deriva autoritaria sottolineata anche da Sadok Belaïd, il giurista incaricato da Saied di redigere la nuova Costituzione, che è arrivato a sconfessare il testo finale, ritenendo che potesse «aprire la strada a un regime dittatoriale».
La fine della Primavera araba e del modello tunisino
Il voto di lunedì ha archiviato definitivamente ciò che rimaneva della Primavera araba iniziata proprio in Tunisia quasi 12 anni fa. Quando, era il 17 dicembre 2010, nella cittadina di Sidi Bouzid, il venditore ambulante Mohamed Bouazizi di appena 26 anni dopo essere stato fermato dalle forze dell’ordine perché privo di licenza si diede fuoco. Esasperati dall’inflazione, dalla disoccupazione e da una corruzione cronica, i tunisini scesero così nelle strade chiedendo la caduta del regime di Ben Ali. Un mese dopo, il 14 gennaio del 2011, il dittatore al potere da 24 anni lasciò il Paese. Dalla Tunisia la rivolta dilagò a macchia d’olio in tutto il Nord Africa, toccando l’Egitto e la Libia. Poi il Medio Oriente con lo Yemen e la Siria. Solo la Tunisia però è riuscita a continuare il percorso verso una reale transizione democratica diventando un modello per l’Occidente. Ora quel capitolo può dirsi concluso.