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Se 500 mila vi sembran poche

Il successo del referendum sulla cannabis, e delle sottoscrizioni online, dimostra che in Italia c’è tanta voglia di partecipare alla vita politica. Con buona pace di quella classe dirigente rinchiusa nel suo snobismo, indolente a trattare problemi che ritiene di «altri».

18 Settembre 2021 16:07 Giulio Cavalli
Le 500 mila firme raccolte in 7 giorni per il referendum sulla cannabis dimostrano che in Italia c'è voglia di partecipare alla vita politica

«Sono iniziative prese da altri. Rifletteremo nelle prossime settimane su quale atteggiamento tenere»: le parole del segretario del Partito Democratico Enrico Letta al Corriere della Sera sull’enorme risultato delle 500 mila firme in pochi giorni per il referendum sulla legalizzazione della cannabis sono sincere ma sintomatiche.

Raggiunte le 500.000 firme su #ReferendumCannabis

È un passo importante di una lunga strada. Restiamo umili. Perché i nemici veri sono stati attenti a non farsi ancora notare.

Si firma e si dona su https://t.co/lGbVeoCWjQ

— Marco Cappato (@marcocappato) September 18, 2021

Questa settimana è accaduto che alcune forze politiche che non entrano nel dibattito dei giornali e delle televisioni, quelle che da anni si sono intestate delle battaglie con impegno sul territorio e nel mondo dell’associazionismo, quelle che studiano, discutono, approfondiscono e ogni giorno si ritrovano di fronte agli stupidi pregiudizi rivenduti come dogmi da qualche Giovanardi di turno, ora qualche Pillon e così via. Anzi, pensandoci bene anche la parola “intestarsi” è stata svuotata dalla politica diventando più un logo che un contenuto. Sulla legalizzazione della cannabis ci sono forze politiche che ci hanno creduto, sarebbe più giusto scriverlo così.

Il referendum sulla cannabis e una nuova forma di partecipazione

Eppure al di là dell’argomento in questione mezzo milione di firme in così pochi giorni sono un fatto politico enorme, una slavina che potrebbe preannunciare una forma di partecipazione nuova, questa volta non assoggettata a leaderismi di turno oppure a algoritmi nei cassetti di qualche società privata. La possibilità di firmare con lo Spid ha dimostrato una volta per tutte che la mancata partecipazione alla politica (che è sempre uno dei punti di programma di praticamente tutti i partiti in tutte le elezioni) altro non è che figlia dell’indolenza della politica stessa che vorrebbe rimanere comoda a stabilire di giorno in giorno l’agenda del Paese, ritenendosi amministratori delle proprie esigenze con l’unico disturbo di renderle collettive nel modo meno dispendioso possibile.

500 mila firme in così pochi giorni significano anche (comunque la si pensi) che la classe dirigente di questi anni ha sbagliato completamente la lettura della realtà: succede ora con la legalizzazione della cannabis ma accade sempre quando si parla ad esempio di diritti civili, si scorge una furiosa minimizzazione che vorrebbe convincerci che siano solo i leziosi vezzi di qualche sparuto politico che si interessa di bisogni assolutamente marginali, mentre appena si apre uno spiraglio si assiste a una mobilitazione senza precedenti. Si può essere d’accordo o meno con la legalizzazione della cannabis, ma questa settimana ha sancito il completo fallimento politico di chi per anni ha scrollato le spalle con un sorriso menefreghista e superbo. Lo sentiranno quelli che sorridevano mentre non parlavano di certi temi lo schiaffo in pieno viso? E come per la cannabis in giro per il Paese ci sono decine di questioni che non hanno mai trovato nemmeno un domicilio di passaggio nelle agende dei dirigenti politici e che aspettano solo uno zampillo per eruttare.

Il successo del referendum e della democrazia partecipativa

500 mila firme in pochi giorni ci dicono anche che questa politica insiste nel negare (e negarsi) comportamenti che vorrebbe nascondere sotto il tappeto: il consumo di cannabis (come altre centinaia di cose) è una realtà anche se ci si ostina a non raccontarla. E spesso accade che entri prepotentemente nella quotidianità delle famiglie (per i motivi più diversi) che si ritrovano ad affrontare una questione su cui aleggiano solo pregiudizi rivenduti come opinione e pochissima informazione.

E così si ritorna alle parole di Letta: «sono iniziative prese da altri», con il solito snobismo di chi crede di doversi dedicare solo ai punti politici che gli stanno a cuore, come se un partito fosse una comunità endogamica che diventa circolo per le proprie passioni e non un luogo allenato a rispondere in ogni momento ai cambiamenti. Sia chiaro, la risposta di Letta è sincera, ma fotografa un evento che merita di essere analizzato con attenzione: gli “altri” sono cinquecento mila persone che in pochi giorni hanno deciso di mettere a disposizione la propria identità per sottoscrivere una battaglia. E l’hanno fatto con la tanto decantata “democrazia partecipativa” che viene sventolato anche da quelli che sognano di essere delegati ben pagati il più a lungo possibile. Gli altri siamo noi, recitava il testo di una vecchi canzone. Ma gli altri sono soprattutto voti, e non è davvero incredibile che cinquecento mila persone non abbiano nemmeno una rappresentanza minima in Parlamento?

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