Toro incatenato

Matteo Innocenti
24/09/2021

Massicce operazioni di rebranding, risultati altalenanti e tifosi divisi tra sostegno e contestazione. Dal Bragantino all'Academy aperta e chiusa in Ghana, passando per Salisburgo, Lipsia e New York. Luci e ombre del modello Red Bull.

Toro incatenato

Loghi e nomi di squadre cambiati, tori rossi più o meno ovunque. Nei circuiti di Formula1 come sui campi di pallone. Red Bull negli ultimi anni ha sovvertito il concetto di sponsorizzazione, è diventata proprietaria dei club, entrando a gamba tesa nel mondo del sport e raccogliendo successi in termini sportivi e di pubblicità, ma anche le forti critiche di chi ha in mente un’idea di calcio più romantica e meno ancorata al business. Oggi la multinazionale possiede team a Salisburgo, Lipsia, New York, Bragança Paulista (Brasile): una piccola galassia in costante espansione. Come accennato, il colosso delle bevande energetiche non si limita a sponsorizzare le squadre, ma dopo l’acquisto, dà il via a un’operazione di rebranding, investe tanto e (quasi sempre) le porta al successo: dopo gli exploit di Salisburgo e Lipsia, a far adesso notizia è il Bragantino, club brasiliano che alla prima partecipazione alla Copa Sudamericana è vicinissimo alla finale dopo aver battuto i paraguaiani del Libertad per 2-0. Insomma, almeno nel calcio Red Bull mette davvero le ali.

Bragantino, buona la seconda

Fondato nel 1928 e noto fino al 2020 come Clube Atlético Bragantino, il club che oggi si chiama Red Bull Bragantino ha avuto un momento di gloria a cavallo tra gli Anni 80 e 90. Guidato da tecnici come Vanderlei Luxemburgo e Carlos Alberto Gomes Parreira, ha debuttato nel Campeonato Brasileiro Série A nel 1989, conquistando il campionato paulista (riservato alle squadre dello stato di San Paolo) nel 1990, per poi raggiungere la finale del Brasileirão (torneo nazionale) nel 1991, persa con il San Paolo. All’isolato exploit, ha fatto seguito un rapido declino, che già nel 2002 l’ha portato a retrocedere in terza serie. Le strade di Red Bull e del Bragantino si sono incrociate nel 2019, quando la multinazionale fondata da Dietrich Mateschitz ha assunto la gestione di tutte le attività sportive del club, con l’obiettivo di permettere alla squadra di competere nel massimo campionato brasiliano e sfruttare le sinergie con le altre proprietà del marchio.

Grazie a importanti investimenti per la categoria, il Bragantino ha conquistato la promozione nel Brasileirão, che nel 2020 ha disputato sì con il vecchio presidente Marquinho Chedid in sella, ma con nome, logo e colori sociali diversi. Non più Clube Atlético Bragantino ma Red Bull Bragantino, addio al vecchio stemma sostituito da quello delle lattine, con il rosso dei tori aggiunto al tradizionale bianconero delle divise. Un cambio radicale, ma tollerato dai tifosi in virtù degli ottimi risultati raggiunti. Non finisce qui, perché si fa sempre più probabile la costruzione di un nuovo stadio al posto del vetusto Nabi Abi Chedid. In Brasile, d’altronde, la Red Bull sta investendo parecchio, come dimostrano i sei milioni di euro sganciati all’Internacional per il talento 19enne Bruno Praxedes, destinato secondo molti a sbarcare presto in Europa. Magari, proprio in uno dei club di proprietà. Insomma, questa ciambella sembra essere venuta con il buco, al contrario del precedente tentativo andato a vuoto. Bragança Paulista non è stata infatti la prima scelta dell’azienda, che già nel 2007 aveva fondato il Red Bull Brasil, club con sede a Campinas che oggi, a causa dei risultati insoddisfacenti è stato declassato a squadra satellite del gruppo.

 

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Il rebranding vincente del Salisburgo

Mateschitz è austriaco e proprio dal suo Paese è partita l’ascesa di Red Bull nel mondo del calcio. Nel 2005, anno in cui si è registrato anche l’ingresso in F1, la casa produttrice di energy drink ha rilevato l’Austria Salzburg, squadra con all’epoca tre titoli nazionali in bacheca e una finale di Coppa Uefa disputata (nel 1994, persa contro l’Inter), ma anche una storia contrassegnata da difficoltà economiche, che aveva portato portato il club a cambiare denominazione per motivi di sponsorizzazione già dagli Anni Settanta: Gerngroß Salzburg (1973-1976), Sparkasse Salzburg (1976-78), Casino Salzburg (1978-1997) e Wüstenrot Salzburg (dal 1997). Contesto ideale, quindi, per anteporre Red Bull a Salisburgo, anticamera di un rebranding totale. Il cambio di stemma ( due tori rossi che incornano un pallone in un cerchio giallo) e colori sociali (dal viola al biancorosso), a differenza del Brasile, però ha causato la reazione di parte della tifoseria, che in segno di protesta ha fondato lo Sportverein Austria Salzburg, squadra oggi in terza divisione. In Austria, la Red Bull ha anche una società satellite. Nell’estate 2012 ha infatti comprato il titolo sportivo dall’USK Anif, modificandone colori sociali e nome in FC Liefering: il club, in tutto e per tutto una squadra B del Red Bull Salisburgo, milita in seconda divisione e gioca le partite casalinghe allo Stadion Wals-Siezenheim. Lo stesso del club principale, che ha vinto gli ultimi otto campionati austriaci e in tutto 12 da quando c’è stato il cambio di proprietà. Presenza fissa della Champions League, il Salisburgo ha visto militare nelle sue file giocatori come il centravanti Erling Håland, oggi al Borussia Dortmund, e il suo erede Patson Daka, appena passato al Leicester: due anomalie giustificate dai milioni sborsati dai club in cui i calciatori sono approdati.  L’approdo naturale dei migliori giocatori della galassia Red Bull è, infatti, solitamente il Lipsia.

Lipsia, dalla quinta divisione con furore

Città dell’ex Germania Est senza un club in Bundesliga, ma con un moderno stadio da 44mila posti costruito per il Mondiale del 2006, Lipsia è sembrata a Red Bull il posto ideale per proseguire nel proprio disegno. Anche qui si è trattato di un secondo tentativo, archiviato il primo con l’FC Sachsen a causa del no deciso da parte dei tifosi. L’idea si è concretizzata nel 2009, quando Red Bull ha acquistato la licenza sportiva del SSV Markranstädt, ribattezzando poi il club RasenBallsport Leipzig, cioè Sport della palla sul prato Lipsia, visto il divieto da parte della federcalcio tedesca di inserire un marchio commerciale direttamente nel nome della squadra. Ma è evidente che l’acronimo RB stia per Red Bull, con l’intera simbologia mutuata dalle lattine di energy drink: i tori sullo stemma, bianco e rosso come colori sociali, persino un soprannome coniato ad hoc, Die Roten Bullen (letteralmente I Tori Rossi). Partito dalla quinta divisione, grazie a importanti investimenti e alla guida di Ragnick, nelle vesti di dirigente e allenatore, la squadra ha scalato rapidamente le divisioni del calcio tedesco. Promosso in Bundesliga nel 2016, ha raggiunto la Champions League in quattro occasioni su cinque. Tutto questo anche grazie a diversi talenti passati in precedenza da Salisburgo, come Upamecano e Sabitzer (entrambi ora al Bayern Monaco), Keita (adesso al Liverpool) e Szoboszlai. O il brasiliano Bernardo, che ha fatto tutto il cursus honorum: Red Bull Brasil, Liefering, Salisburgo, Lipsia prima della cessione in Inghilterra al Brighton. Trasferimenti naturali per la proprietà, veri e propri travasi visti con un certo sospetto dal resto del mondo calcistico.

 

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I tori rossi nella Grande Mela

«Lotteremo per la conservazione della cultura calcistica il più a lungo possibile. Strumenti di marketing puro come il RasenBallsport non faranno mai parte di tutto ciò»: ai tempi della Zweite Liga, così i supporter dell’Union Berlin hanno motivato la decisione di rimanere in silenzio per il primo quarto d’ora del match con il Lipsia. Il rebranding totale è un concetto alieno al calcio europeo e per questo spesso malvisto dalle tifoserie. Negli Stati Uniti, dove le franchigie si spostano nelle città più profittevoli, è invece la norma: nel 2006 il colosso degli energy drink ha acquistato i New Jersey MetroStars, modificandone, ancora una volta, i colori sociali (dal rossonero al biancorosso) e il nome in New York Red Bulls, avviando poco dopo la costruzione di un nuovo stadio nella città di Harrison. Pur senza vincere mai la Major League Soccer, la franchigia ha accolto diversi giocatori dal passato glorioso, su tutti Thierry Henry. L’attuale allenatore è Gerhard Struber, un passato da giocatore e allenatore delle giovanili del Salisburgo, a cui si sommano due anni spesi sulla panchina del Liefering.

Il fallimento ghanese

Al centro dei progetti di Salisburgo e Lipsia c’è la ricerca di risultati sportivi, oltre alla promozione del marchio, preponderante, invece, a New York. In Brasile, il progetto-Bragantino mira soprattutto alla coltivazione di talenti. E proprio con questo obiettivo, Red Bull aveva investito in passato anche in Ghana. Per la precisione a Sogakope, cittadina di circa 5mila abitanti costeggiata dal Volta, a un centinaio di chilometri dalla capitale Accra. Con una spesa iniziale di 5,5 milioni di euro, qui nel 2008 fondò Red Bull Ghana: prima squadra e academy, stadio da mille posti più centro sportivo con foresteria e aule studio,all’avanguardia per gli standard locali. Nel corso degli anni dalle giovanili sono usciti alcuni buoni giocatori, ma pochi in grado di approdare in Europa. Il primo giovane ghanese formato a Sogakope a giocare nel Salisburgo è stato Felix Adjei (una presenza nel 2011), l’ultimo David Atanga (ora all’Ostenda), arrivato in Austria nel 2014, poco prima che l’accademia chiudesse i battenti a causa di risultati poco soddisfacenti rispetto al progetto iniziale.