«Budget approvato con i voti della sinistra e un governo di destra. Chapeau alla sinistra, bisogna prendere lezioni», dice in tono sarcastico una fonte Rai a Tag43 subito dopo il via libera del Cda di Viale Mazzini al bilancio 2023 presentato dall’ad Carlo Fuortes. Ma non per tutti la lettura è così semplice e c’è chi suggerisce di andare un po’ oltre lo schema destra-sinistra. Il capo azienda sembrava a un passo dal baratro, soprattutto perché il membro del board in quota Lega, Igor De Blasio, pareva convinto di votargli contro, a maggior ragione dopo le parole di Matteo Salvini sul caso Zelensky-Sanremo, che erano suonate come un segnale politico. Ma a valle di un weekend di febbrili abboccamenti, incontri e trattative, lo stesso De Blasio e Simona Agnes (quota Fi) si sono allontanati dal tavolo, non hanno votato e hanno abbassato il quorum, consentendo a Fuortes di passare indenne con soli tre voti: il suo, quello della presidente Marinella Soldi e quello della consigliera in quota Pd, Francesca Bria. Alessandro Di Majo, che fa capo al M5s, ha votato contro come da attese; Riccardo Laganà, il rappresentante dei dipendenti che sta conducendo una battaglia contro il dilagare delle esternalizzazioni in Rai, si è attestato sull’astensione che in pratica equivale a voto contrario.

Gianni Letta avrebbe convinto Fi e Lega a non impallinare Fuortes
Da più parti si vocifera che i partiti di centrodestra siano sempre più insofferenti nei confronti della gestione Fuortes. Ed è scontato che nemmeno la premier Giorgia Meloni lo ami. Eppure lo schema al momento pare essere un po’ diverso: Fi e Lega mordono il freno contro una sorta di patto di non belligeranza che sembrava essere stato siglato da Meloni con l’ex sovrintendente dell’Opera di Roma. Non a caso, è pure una parte del Pd, per esempio quella che fa capo a Elly Schlein, a non gradire più il manager, perché «pur di restare in sella sta facendo scelte più di destra di quelle che ci potremmo aspettare da un ad di destra», sibilano dalle parti del Nazareno. In effetti, secondo svariate fonti, sarebbe stato decisivo l’intervento di Gianni Letta, che è amico di Fuortes, per convincere Fi e Lega a non sparare addosso al capo-azienda e a non partecipare al voto sul budget. Facendo infuriare l’ala azzurra oltranzista che fa capo alla trimurti Ronzulli-Tajani-Barachini e cementando invece il patto Meloni-Giorgetti che non è un asse Fdi-Lega, ma segna la continuità del governo attuale con quello di Draghi su molti dossier oltre che sulla Rai, basti pensare alle prime nomine nelle agenzie fiscali o alla politica economica in generale. Un accordo che forse non è saldissimo e non durerà, ma del quale si vedono gli effetti a Viale Mazzini e in cui ovviamente sguazza anche Matteo Renzi, cui fa riferimento la presidente Soldi.

Pronto il pacchetto di nomine pro centrodestra: Preziosi al Tg2, Pionati alla radio e Chiocci al Tg1
Fuortes infatti proviene dalla stagione e dal milieu del Pd “draghian-gentiloniano”, ma ora si sta giocando tutte le carte a disposizione in termini di elargizioni e prebende per sopravvivere. Quindi una parte dei dem «ha scelto di tenerlo in piedi. Si sono accordati con Gianni Letta e si sono consegnati al nemico per mantenere i posti, anche se c’è pronto un pacchetto di nomine pro Meloni e pro centrodestra», ragiona con Tag43 un importante nome Rai che chiede di restare anonimo. Così, a cascata, Fi potrebbe essere accontentata con Antonio Preziosi al Tg2, mentre Francesco Pionati andrebbe alla radio in quota Lega. E poi c’è da portare a termine la delicata operazione su Gian Marco Chiocci al Tg1 come cadeau a Meloni: Monica Maggioni si sposterebbe solo con la garanzia di un suo approfondimento informativo a Rai1, nel regno di Bruno Vespa, ma gli impacci da superare riguardano un teorico rischio di danno erariale su cui la Corte dei conti potrebbe alzare le antenne. Chiocci – la cui nomina non è appannaggio dell’ad ma deve passare dal Cda – è infatti un esterno e ci sono in Rai direttori di testata che sono stati messi in freezer: il caso più noto è quello di Giuseppe Carboni, vittima da oltre un anno di una sorta di editto bulgaro mascherato, malgrado i buoni ascolti del suo Tg1, per il solo fatto di essere in quota M5s. Ecco, i cinquestelle: è chiaro che il voto di stamattina in Cda approfondisce la spaccatura con il Pd. Il consigliere Di Majo è stato durissimo durante il board: secondo quanto risulta a Tag43 ha contestato a Fuortes il peggioramento della posizione finanziaria netta per 650 milioni, gli ascolti in calo, il cattivo andamento dei ricavi, compresi quelli pubblicitari, e i tagli a RaiPlay. Oltre a sollevare, appunto, il rischio di danno erariale per alcuni direttori Rai fermi ai box. Mentre Bria, membro in quota Pd, ha votato a favore dopo aver respinto il bilancio solo pochi mesi fa.

Un ad indebolito alle prese con dossier delicati come contratto di servizio, canone e piano industriale
In tutti i casi, le letture degli eventi tra i corridoi di Viale Mazzini non sempre coincidono. Secondo alcuni, se Fi e Lega oggi avessero fatto cadere Fuortes, sarebbe stato uno smacco per Meloni che al momento ha deciso di non calcare la mano su un cambio immediato di stagione nella tv pubblica. Secondo altri, invece, si tratta comunque di una beffa per la premier e tutto il centrodestra che deve sorbirsi un ad in sella soltanto grazie a una minoranza ostile. In più, è oggettivamente molto grave che i membri in quota maggioranza di governo non abbiano nemmeno partecipato al voto sul budget della Rai, scelta dettata dall’esigenza di evitare una plastica rottura tra Fi (più morbida su suggerimento di Berlusconi-Letta) e Lega (Salvini più insofferente). Ora c’è da capire come vorrà andare avanti l’amministratore delegato, che esce indebolito da un voto sì favorevole ma con una fiducia dimezzata e una sorta di “avviso di sfratto” dal centrodestra. Nel breve ci sono dossier delicati da affrontare, quali il rinnovo del contratto di servizio e il canone. Entro fine febbraio Fuortes dovrebbe inoltre presentare il piano industriale e sarà allora che si capirà davvero se il patto trasversale regge o se Meloni ha invece deciso di scaricarlo.