Rai, perché la rivoluzione di Meloni tarda a mettersi in moto

Marco Zini
24/11/2022

L'attesa rivoluzione meloniana in Rai non decolla, frenata dalle tensioni tra Fdi e alleati. Al momento Maggioni, forte dell'appoggio di Giorgetti, resta al Tg1. Rao prima di sostituirla potrebbe sostare al Tg2. Al posto di Fuortes, che resterà fino al 2024, si scaldano Ciannamea e Sergio. Mentre per Rossi si apre l'ipotesi dg. Il risiko.

Rai, perché la rivoluzione di Meloni tarda a mettersi in moto

Fratelli d’Italia ha preso i “Palazzi d’inverno” delle istituzioni, mettendo i suoi uomini nei posti chiave, dalla presidenza del Consiglio alla gestione del Pnrr, dallo Sviluppo economico ai servizi segreti. Mancano ora le leve del soft power che non può prescindere dal controllo della Rai. Certo, Viale Mazzini pullula già di “uomini all’Avana” per conto di Giorgia Meloni, ma dopo il cambio di governo la giostra delle nomine sulle poltrone apicali tarda a mettersi in moto, anche a causa di difficoltà politiche che bloccano il risiko.

Al Tg1 per ora resta Maggioni (che piace a Giorgetti), per il Tg2 pronto Nicola Rao

Intanto vanno registrate forti turbolenze tra Fdi e il resto del centrodestra. Il partito di maggioranza relativa vuole imporre la legge del più forte e questo sta provocando frizioni. Tra voci incontrollate, veleni, trame, profezie che ambiscono ad avverarsi e desideri confessati a mezza bocca, gli schemi del possibile riassetto cambiano di continuo. L’ultimo che circola nelle stanze all’ombra del cavallo Rai, e che fonti qualificate hanno raccontato a Tag43, parte dal domino Tg2-Tg1. Il telegiornale dell’ammiraglia rimane appannaggio di Monica Maggioni, nome che rimanda all’era Draghi e che comunque piace al più draghiano dei ministri attuali, ossia Giancarlo Giorgetti. Formalmente è il Mef a controllare la tv pubblica, dunque siamo nella fisiologia, ma seguendo la prassi i meloniani rivendicano, da vincitori delle elezioni, un’influenza diretta sul Tg1 e, come si sa, ci sarebbe già la carta pronta da calare sul tavolo: Nicola Rao. L’attuale vice di Maggioni è anche uno storico, ha scritto libri del tenore de Il sangue e la celtica ed è tra l’altro membro del Cda della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice: sarebbe insomma il nome giusto. Secondo le ultime indiscrezioni, Rao potrebbe intanto andare subito alla direzione del Tg2 che vive una fase di interim dopo l’uscita di Gennaro Sangiuliano, approdato alla guida del ministero della Cultura. E a metà del 2023 userebbe il telegiornale della seconda rete come trampolino per saltare alla guida del Tg1. A quel punto Antonio Preziosi traslocherebbe da Rai Parlamento al Tg2, con il gradimento dello stesso Sangiuliano. E la Lega punterebbe a un ruolo importante anche per Angela Mariella, attuale direttore di Isoradio.

I cambi di Maggioni agitano La redazione del Tg1
Monica Maggioni (Getty Images).

Per sostituire Fuortes, ma non prima del 2024, si scaldano Ciannamea e Sergio

Il problema, si vocifera nei corridoi di Saxa Rubra, è che Maggioni venderebbe cara la pelle: per convincerla sarebbe infatti pronto un programma di approfondimento giornalistico tutto suo su Rai1 e in aggiunta (o in alternativa) addirittura una nuova direzione ad hoc. Sarebbe un colpaccio visto che sulla prima rete c’è ancora Bruno Vespa che in teoria le chiuderebbe la strada e «si sa che tra i due non corre buon sangue», spiega una fonte Rai a Tag43. In ogni caso, schiodarla dal Tg1 è difficile e «sarebbe stato arduo anche per Sangiuliano che infatti ha preferito cogliere l’occasione e andarsene al ministero», riflette la stessa fonte. Il tentativo di putsch a favore di Rao potrebbe comunque emergere già al prossimo Cda del 29 novembre. Fratelli d’Italia scalpita, ma il guaio (per Meloni e i suoi) è che la televisione di Stato riflette ancora i vecchi assetti dell’era Draghi, con il primo ostacolo relativo alla “rimozione” dell’ad Carlo Fuortes, che non si potrà perfezionare prima della scadenza naturale del suo mandato (2024) senza offrirgli una poltrona alternativa degna del suo curriculum e delle sue ambizioni. Non per niente questa è la settimana del primo contatto diretto tra lui e la presidente del Consiglio: l’ex sovrintendente dell’Opera di Roma proverà a resistere o si farà da parte? Secondo le ultime voci sono pronti a sostituirlo Marcello Ciannamea, attuale direttore della Distribuzione, negli anni considerato vicino dapprima al Pd e poi alla Lega, comunque molto apprezzato dai produttori esterni, o Roberto Sergio, direttore Radio Rai, considerato vicino a Pierferdinando Casini e in ottimi rapporti con Gianni Letta, ma da tempo avvicinatosi a Meloni.

Rai, perché la rivoluzione di Meloni tarda a mettersi in moto
Marcello Ciannamea (dal sito Rai).

L’ipotesi pacchettone per provare a mettere d’accordo tutti

Resta il fatto che il centrodestra è minoranza nel board di Viale Mazzini con due soli consiglieri sua espressione: Simona Agnes per Forza Italia e Igor De Blasio, appoggiato da Lega e Fi. Dunque un blitz a favore di Rao non sembra nell’immediato praticabile, a meno che Fuortes e la presidente, Marinella Soldi, non decidano di riposizionarsi e votare in consonanza con il sentire della nuova maggioranza di governo; ma questa rappresenterebbe un’imprevedibile svolta politica. «Sarebbe più facile allora fare un “pacchettone” di nomine e provare a mettere d’accordo tutte le forze politiche, dando un contentino a ciascuno. Serve un do ut des al centrodestra per far passare i suoi», ragionano fonti Rai. L’alternativa, altrimenti, è temporeggiare in attesa di rinnovare completamente il Cda. Tanto, notano in molti, «Maggioni fa già un telegiornale che più meloniano non si potrebbe». Peraltro, lo schema del cosiddetto pacchettone si scontra con la temperie politica del momento, in cui il centrodestra cerca di occupare il più possibile e il Pd custodisce gelosamente il suo orticello alla luce della rottura con un M5s (contiano) praticamente fatto fuori da Draghi e che rischia di sparire del tutto, mentre i dimaiani mantengono le posizioni.

LEGGI ANCHE: Rai, l’offerta per l’estero è molto fumo e vecchio arrosto

Viale Mazzini tra crisi di ascolti, crisi di identità e il nodo Rai Way

Su Fuortes grava invece il fallimento della “Rai dei generi”: la crisi di ascolti è conclamata e l’avvento delle piattaforme on demand non può essere un alibi, Rai2 va particolarmente male e non sarà il probabile successo di Fiorello a risollevarne le sorti, mentre Rai3 ha smarrito la propria identità almeno dai tempi di Franco Di Mare. Pesano le società esterne di produzione cui sono appaltati grandi pezzi dei palinsesti e in più c’è la spada di Damocle del canone che vale la maggior parte dei ricavi (1,8 miliardi di euro su 2,7 complessivi). È stato riconfermato quest’anno, ma in prospettiva non si sa se rimarrà in bolletta (Ue contraria). Senza dimenticare il deterioramento della qualità del servizio reso dalle infrastrutture di Rai Way: la possibile fusione con Ei Towers preoccupa molti a Viale Mazzini, anche a causa della quota detenuta dalla tv pubblica che potrebbe scendere pericolosamente dalla maggioranza assoluta fino al 30 per cento. «Una volta godevamo di tempi zero tra il riversamento e la messa in onda, ora invece il sistema dei ponti Rai soffre, anche per il deterioramento e la penuria delle professionalità connesse», spiegano a Saxa Rubra.

Rai, il giro di poltrone e i riposizionamenti in quota centrodestra
Il meloniano Giampaolo Rossi.

Giampaolo Rossi verso la poltrona di direttore generale

In questo scenario, l’uomo forte di Fratelli d’Italia in Rai al momento è fuori, ma rientrerebbe subito come direttore generale. Si tratta di Giampaolo Rossi, classe 1966, archeologo e sedicente “marinettiano”, ex presidente della commissione Cultura della Regione Lazio e direttore del master di Media&Entertainment alla Link Campus University, ma soprattutto direttore di RaiNet tra il 2004 e il 2012. Rossi conosce benissimo la macchina all’ombra del cavallo di Viale Mazzini e ha già alle spalle un mandato in Cda. Poi fu fatto fuori, si disse, per fare spazio a Forza Italia in consiglio, ma gira voce che in realtà a giubilarlo sia stata una sorta di congiura tutta interna a Fdi, perché Rossi proviene dall’area dei “gabbiani” di Fabio Rampelli e dalla nidiata dei militanti di Colle Oppio, non proprio vicinissimi a Giorgia Meloni. Ora punterebbe a rientrare in grande stile. Non gli conviene succedere subito a Fuortes, perché si tratterebbe di un mandato preso in corsa e dunque monco. La poltrona di direttore generale, invece, è golosa, ma comporta appunto l’uscita dell’attuale ad, che altrimenti subirebbe la convivenza come una sorta di commissariamento. Fuortes ha sempre lasciato intendere di non aver bisogno di un dg; peccato che dopo l’addio di Alberto Matassino la casella sia rimasta sì vacante, ma non sia mai stata formalmente cancellata. «Rossi comunque è uno che conosce tutti e parla con tutti in Rai. Quando era consigliere ebbe dissapori con la Lega, ha ancora una fronda interna al centrodestra contro di lui, ma da sempre lo ascoltano persino quelli del Pd», raccontano a Viale Mazzini. Non a caso, c’è un pezzo d’azienda che farebbe capo ad alcuni partiti di opposizione pronto a disporsi in modo conciliante nei confronti del nuovo potere meloniano. Rossi ha infatti ottimi rapporti con molti di coloro con cui ha condiviso l’esperienza di Rainet: per esempio Silvia Calandrelli, attuale direttore di Rai Cultura ed Educational, forte di un corposo budget e tanto potente da avere in gestione persino un big come Fabio Fazio. O Elena Capparelli, capo di Rai Play e del Digital. Entrambe di area culturale Pd. Insomma, il nuovo vento meloniano già si sente in Rai, anche se ancora non ha iniziato a ribaltare le poltrone.