Ora il dubbio è: lascia subito o resiste ancora? Eh sì, perché è tutto pronto per l’uscita di scena di Carlo Fuortes, l’ad Rai nominato da Mario Draghi, che dovrebbe soccombere all’avvento della nuova stagione meloniana nella tv di Stato. L’accoppiata pronta a succedergli, Roberto Sergio quale capo azienda e Giampaolo Rossi nei panni di direttore generale (vedremo con quali deleghe, se operative o editoriali), sta già scaldando i motori. Peraltro, lo stesso Rossi dovrà solo pazientare un po’ per poi diventare a sua volta amministratore delegato, alla scadenza dell’attuale Cda. Ma intanto Fuortes, raccontano a Tag43 varie fonti di viale Mazzini, semina dubbi e incertezze, va dicendo a destra e a manca che non se ne va, o almeno non subito, e che l’addio potrebbe non corrispondere necessariamente alla votazione sul bilancio consuntivo 2022, prevista il prossimo 20 aprile.

Le mire di Fuortes sulla Scala e il muro di Sala
Il rebus si intreccia con le sorti della Scala di Milano che Fuortes considera forse l’unica soluzione d’uscita all’altezza delle proprie aspettative. Dalle parti del capoluogo meneghino non lo vogliono e il sindaco Giuseppe Sala, malgrado le pressioni trasversali che riceve (anche dal Pd), non ci tiene a togliere le castagne dal fuoco a un governo “nemico” favorendo l’uscita (o l’eventuale affiancamento in prima battuta) del sovrintendente attuale, Dominique Meyer, a beneficio dell’ingresso dell’ad Rai. Intanto le settimane passano e i segnali che arrivano dal cda del teatro non sono confortanti per l’ex numero uno dell’Opera di Roma, senza parlare dei sindacati interni che di lui non vogliono proprio sentir parlare.

Rai in stallo, tra guerre interne, palinsesti al palo e il nodo canone
Nel balletto tra la Capitale e Milano, la Rai appare però come un’azienda ferma, bloccata, in preda a guerre per bande e appetiti personali, ostaggio di chi sgomita per farsi trovare pronto e sfruttare il nuovo vento politico. Intanto, manca un piano industriale, i nuovi palinsesti sono al palo, il piano immobiliare è pieno di incognite e soprattutto non si conosce la vera sorte del canone. In più, malgrado una fiammata del prime time, gli ascolti sono in rosso, con la riduzione della platea televisiva, e i telegiornali vanno male, compresa l’ammiraglia Tg1 su cui si consuma lo scontro interno a Fdi per la successione alla direttrice Monica Maggioni. «Avevano promesso di investire sui giovani e ci ritroviamo i soliti Vespa, Annunziata e Minoli», recriminano a Mazzini. Senza dimenticare lo strapotere delle esternalizzazioni, con gli agenti degli artisti e le società di produzione che fanno il bello e il cattivo tempo sui palinsesti: fenomeno che viene da lontano, certo, ma che Fuortes non ha fatto nulla per contrastare. «Stupisce che Riccardo Iacona sia passato dalla pensione a Caschetto (Beppe, uno dei manager più potenti, ndr) triplicando il compenso?», chiedono ancora retoricamente dalla Rai.

La partita Rai Way e i cambi al vertice della controllata
Poi c’è la partita della controllata delle infrastrutture Ray Way che è «la fotografia della Rai, un sistema di scambi e conflitti di interessi gigantesco, pagato con i danari di tutti i cittadini italiani», denuncia chi è vicino al dossier. Malgrado un bilancio 2022 in positivo, i vertici sono stati sostituiti con Giuseppe Pasciucco come presidente e Roberto Cecatto amministratore delegato. Pasciucco è considerato un fedelissimo di Fuortes e il suo trasloco lascia pensare al prossimo addio dell’ad, ma non tutto è scontato. Gli analisti, comunque, avevano sconsigliato il cambio al vertice della quotata delle torri e i consiglieri Francesca Bria (in quota Pd) e Riccardo Laganà (dipendenti) si sarebbero espressi in senso contrario. Il governo, però, ha fretta di favorire la fusione con Ei Towers (al 40 per cento detenuta da Mediaset) per risollevare i conti, mentre l’ormai ex ad, Aldo Mancino, come riferito anche da MilanoFinanza, aveva raccomandato prudenza per estrarre il massimo valore dalla fusione. «Lo scandalo delle nomine di Rai Way è la rappresentazione plastica che il merito conta come lo zero», rincarano da Viale Mazzini.

Presto l’ad sarà ascoltato in commissione di Vigilanza
Una situazione ormai insostenibile, insomma, su cui inevitabilmente dovrà intervenire anche la commissione parlamentare di Vigilanza, finalmente definita anche nei vertici. Mentre il centrodestra cerca di utilizzare l’organismo istituzionale per il suo processo a Report, la neo-presidente del M5s, Barbara Floridia, non potrà non convocare a breve in audizione Fuortes e chiedergli conto di quanto sta accadendo. I nemici interni del capo azienda parlano di «macerie fumanti» per una gestione in cui, ad esempio, un nome come Nicola Claudio accentra ben tre incarichi di vertice: direttore della governance, direttore dello staff del presidente e presidente del Cda di Rai Cinema. O nella quale ci sono casi eclatanti di mancata rotazione, con la potente Silvia Calandrelli che è alla direzione di Rai Cultura da quasi nove anni. Fuortes, intanto, dice di voler resistere, ma sembra soltanto la posizione tattica di chi punta a vendere cara la pelle.