Ora in Rai ci si chiede come e per quanto tempo si potrà andare avanti con questo assetto. Il voto quattro contro tre su Nicola Rao al Tg2, con la presidente Marinella Soldi e l’ad Carlo Fuortes passati alle fila “nemiche” del centrodestra, segna quel cambio di equilibri che Tag43 aveva a suo tempo paventato. In ogni caso la nomina al vertice del secondo telegiornale, per quanto scontata, ha mandato paradossalmente su tutte le furie i meloniani: la svolta dei vertici aziendali, a poche settimane dall’incontro tra la premier e lo stesso Fuortes, è apparsa troppo repentina e sembra tradire una volontà di presa del palazzo Rai eccessivamente smaccata da parte di una maggioranza che si sdilinquisce in continue giaculatorie sul merito e dice di voler emancipare la tv di Stato dai partiti.

Sulla logica spartitoria pesa l’incognita del congresso Pd
Fuortes e Soldi sono stati messi lì in un’altra stagione politica. A chi rispondono adesso? L’interim di Carlo Pilieci al Tg2 sarebbe scaduto il 22 gennaio: perché l’amministratore delegato ha accelerato su Rao? Solo piaggeria nei confronti del nuovo potere? E cosa vuole fare Fuortes da qui in avanti, resistere fino a fine mandato? Inoltre, perché ora si guarda con attenzione alla prossima primavera? Non è che la maggioranza di governo attende l’esito del congresso Pd, nella solita logica spartitoria che deve vedere un accordo tra le due sponde del (finto) bipolarismo? C’entrano anche le incognite sul futuro della Lega rispetto al voto lombardo di febbraio? Domande cui il tempo darà una risposta. Anche se l’enigma più grande riguarda in definitiva l’idea che del servizio pubblico televisivo hanno questi vertici, con un declino degli ascolti che non può essere evitato solo dalla parentesi del Mondiale, palinsesti che non stanno in piedi, ma soprattutto toni scomposti, baruffe sensazionalistiche e volgarità postribolari ricorrenti anche in trasmissioni e contesti insospettabili.

Il caso Carboni potrebbe arrivare alla Corte dei conti
Intanto, va da sé che la situazione sia del tutto anomala. E proprio il passare del tempo è contrassegnato dal ticchettio di una bomba a orologeria pronta a esplodere. Si tratta della posizione di Giuseppe Carboni, ex direttore del Tg1 “in quota” Movimento 5 stelle. La sua rimozione e il suo accantonamento “alle dirette dipendenze dell’Ad” sono diventati un caso che rischia di arrivare in Corte dei conti, perché pagargli uno stipendio da direttore senza farlo lavorare significa sprecare il danaro pubblico e prefigura un possibile danno erariale. L’azienda, peraltro, è in difficoltà a giustificare la stessa promozione di Rao quando una figura equipollente a disposizione già c’era, Carboni appunto. Aziendalista fino al midollo e politicamente un po’ un cane sciolto, l’ex capo del tg dell’ammiraglia paga in definitiva il fatto di aver contribuito a costruire l’immagine di Conte quando quest’ultimo gestiva, da presidente del Consiglio, le fasi più dure della pandemia. Dunque, Carboni «non poteva che essere punito, a valle del cambio di governo, dall’area Gentiloni-Guerini-Draghi con la complicità dello stesso Di Maio», spiegano sottovoce da Saxa Rubra a Tag43. Ciò nonostante ascolti all’epoca superiori, in numeri assoluti, rispetto all’odierna gestione Maggioni.

Quelli che Fuortes considera cinque stelle in realtà sono dimaiani
La figura dell’ex caporedattore del Tg2 chiama inevitabilmente in causa il rapporto attuale tra il M5s e la Rai. Fuortes avrebbe respinto nei giorni scorsi l’ipotesi di un riassetto che dia spazio al partito di Giuseppe Conte in chiave pluralistica e avrebbe opposto l’argomentazione secondo cui il M5s, dato al momento in molti sondaggi come seconda forza politica italiana e prima di opposizione, è già ben rappresentato in azienda. «Il problema è che quelli che per l’ad fanno capo ai cinque stelle in realtà sono rimasti dimaiani, a partire da Simona Sala. E i rapporti con il Pd sono impossibili, malgrado uno come Mario Orfeo (direttore del Tg3, ndr) sia stimato da uomini come Stefano Buffagni. Basti dire che Stefano Coletta (direttore Intrattenimento Prime time, ndr), che rispondeva all’ex ministro Vincenzo Spadafora grazie alla mediazione di Giovanni Anversa, non ama certo i cinque stelle contiani», riflette un’autorevole fonte Rai. Eppure, con FdI che occupa di diritto il Tg2 e de facto il Tg1, oltre a Rainews24, e con il Pd in salsa draghiana decisamente sovra-rappresentato, il M5s potrebbe teoricamente rivendicare un posto al sole (che oggi non ha) nelle testate: per esempio attraverso il Tg regionale o almeno lo stesso canale all news. «Conte sembra assente, ma si ritrova, a suo nome, una filiera che in realtà in gran parte non risponde a lui. E subirà inevitabilmente questa situazione», spiega una figura vicina al dossier che chiede l’anonimato. Fuortes ha messo mano, nel frattempo, a una nuova infornata di sei dirigenti (non giornalisti) che scaldano i motori in vista di gennaio. Il quadro comunque rimane fluido e i colpi di scena sono sempre dietro l’angolo. Il cavallo di Viale Mazzini è imbizzarrito, ma i cittadini-utenti paiono i primi a essere stati disarcionati.