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Piccoli indiani metropolitani

Una narrazione asfittica li vuole soli, in casa, rimbambiti davanti a un cellulare. In realtà non è così. Molti ragazzi, nonostante la pandemia, hanno ripopolato in modo anarchico campagne, parchi e periferie. Riafferrando la vita.

23 Maggio 2021 16:1323 Maggio 2021 16:38 Gioacchino Criaco
Come hanno vissuto i ragazzi la pandemia

Per anni, a volte per decenni, ripercorriamo la stessa strada che da casa ci porta ai luoghi in cui la vita di ognuno si espande. L’auto che d’improvviso smette di funzionare, il tram che si ferma, il treno che si blocca: scendiamo in un posto che dovrebbe esserci famigliare. Una scritta sul muro, un balconcino liberty, un albero storto: non ce ne eravamo mai accorti, non avevamo mai visto un particolare. I luoghi della nostra quotidianità ci sono spesso estranei: non ci appartengono e non gli apparteniamo. Così le numerose esistenze che incrociamo.

Dei ragazzi non sappiamo nulla se non le storie che ci racconta un mondo adulto asfittico

La gran parte del nostro contesto è un universo sconosciuto che genera sentimenti diversi, contraddittori, opposti. Costruiamo nicchie in un mondo e abitiamo solo quelle rinunciando al resto. Scopriamo spazi utili solo per inciampo. Nelle città conosciamo solo il nostro quartiere, nei paesi solo l’abitato. Da soli ci tiriamo addosso i lembi di una coperta che diventano limiti fisici. E dei ragazzi non sappiamo nulla se non le storie che ci racconta un mondo adulto asfittico, bugiardo. Un mondo che ci sta spiegando che saranno le nuove generazioni a pagare un prezzo altissimo per le restrizioni causate dalla pandemia: che salteranno irreparabilmente le relazioni generazionali che la scuola creava, ha creato per le passate schiere di studenti. Ci immaginiamo solitudini casalinghe, rimbambimenti elettronici: ragazzi segregati a cui arriverà in ritardo il primo bacio, la prima cotta, le delusioni. «Due anni cancellati ai più giovani» è un mantra che il mondo adulto ripete, una commiserazione che forse è immaginata.

I ragazzi sono diventati tanti piccoli indiani conquistandosi impensabili imperi di libertà

Da giovani si hanno nemici da abbattere e da vecchi mondi da difendere: si cresce e immediatamente ci si scorda di essere passati attraverso la gioventù; si dimenticano subito le risorse immense, i rimedi istantanei che i pochi anni di vita serbano sempre in grembo. E gli anni della pandemia sono stati persi per gli adulti, che davvero non li potranno recuperare, per le contingenze economiche, per le dinamiche sociali, i risvolti culturali. I ragazzi, come al solito, hanno fatto mondo a parte, non si sono persi quasi nulla o quello che gli è mancato da un verso lo hanno ottenuto da un altro. Chiusi in casa ci sono rimasti in pochi e i rapporti dismessi nella scuola li hanno ricostruiti nei luoghi esterni, e più si era in periferia e più è stato possibile recuperarli. I ragazzi hanno occupato i parchi cittadini e i posti aperti dentro le città. E hanno inondato le campagne: sono tornati a vivere gli spazi aperti, i sentieri e le strade che attraversano i campi coltivati; hanno aperto piste nuove nelle distese incolte. Sono diventati tanti piccoli indiani conquistandosi imperi di libertà impossibili da pensare in tempi di scolastica normale.

I ragazzi da soli trovano le vie migliori anche senza buoni maestri

Si liberano velocemente delle didattiche a distanza e tornano fuori. Basta andare lungo i corsi d’acqua, negli sbalzi di terra intorno agli abitati: si muovono a piccole tribù, raggruppamenti anarchici tenuti insieme da rapporti empatici. Ridono, gridano, litigano, si amano, si scoprono a vicenda. Risvolti impensabili, declinazioni che il mondo adulto non poteva immaginarsi, a cui cerca di non credere. Eppure basterebbe, sarebbe bastato, battere le campagne per vedere con i propri occhi  la capacità di adeguamento agli eventi che è tipica della vita in crescita, per non erigere scenari apocalittici a danno delle nuove generazioni. Scenari che purtroppo saranno più probabili per le vite in declino. I ragazzi non hanno bisogno di commiserazione, da soli trovano le vie migliori anche in assenza di buoni maestri. Sciamano, molto più felici di quello che si vuol pensare, a schiere e schiere di piccoli e irriducibili indiani, riprendendosi quel rapporto di appartenenza con i luoghi da cui si innesca l’amore o il disamore per i territori e da cui dipende l’approccio futuro del contesto sociale. Più che una mancanza, a sorpresa, il tempo della pandemia potrebbe essere per i ragazzi il riempimento di un vuoto di conoscenza rispetto a ciò che li circonda: un riprendersi più che un rinunciare.

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