La difesa dell’idioma patrio, l’attacco alle famiglie arcobaleno, gli innocui vecchietti che cantavano jodel in via Rasella, la patria che si difende facendo la guardia alla braciola. Se l’impressione di essere trascinati in un passato sbilenco da una macchina del tempo guidata da Achille Starace zombie non fosse completa, l’era meloniana ci regala un ultimo dettaglio che non evoca il Ventennio, ma ci catapulta addirittura ai tempi di Carolina Invernizio e del romanzo d’appendice: il figlio della colpa. Parliamo della inqualificabile vicenda di cui è involontaria protagonista, anzi, vittima, l’onorevole Rachele Silvestri, marchigiana, ex M5s passata due anni fa a Fratelli d’Italia, che sul Corriere della Sera di oggi denuncia di essere stata costretta a sottoporre il figlio neonato al test di paternità per rispondere all’insistente e dilagante diceria secondo cui il vero padre del piccolo non era il compagno di Silvestri ma un pezzo grosso del suo partito, a sua volta coniugato.
Nell’Italia meloniana il certificato di filiazione si nega anche ai figli delle parlamentari in carriera
E già, nell’Italia meloniana che inneggia alla famiglia tradizionale e che vorrebbe garantire alle donne «la libertà di non abortire», il certificato di filiazione non si nega solo ai bambini nati con maternità surrogata, ma anche a quelli nati dalle parlamentari in carriera, e le provette negate alla ricerca sulla carne coltivata devono servire solo ad accertare chi è il vero papà di una creatura e scagionare una donna dall’infamante accusa di aver profanato il talamo coniugale e di averne guadagnato candidatura e posto in Parlamento. Perché, secondo le malelingue, sarebbe stato lo sconosciuto “sugar daddy” (o alto protettore, non sfidiamo Rampelli) a blindare il 25 settembre la rielezione di Silvestri, candidata in un collegio abruzzese e già incinta, nelle file italofraterne. Subito si è alzato un pecoreccio venticello della calunnia che «piano piano, terra terra, sottovoce, sibilando», come nel Barbiere di Siviglia, si è propagato dai corridoi di Montecitorio alle redazioni, fino a essere dato quasi per certezza. Possiamo immaginare la serenità con cui una gestante può affrontare gli ultimi mesi di gravidanza, quando vede la sua reputazione fatta a pezzi e il suo privato schizzato di fango velenoso. La nascita del bambino non ha zittito i pettegolezzi, anzi li ha ingigantiti, tanto che Silvestri, per metterli a tacere, è dovuta ricorrere al laboratorio. Un’ordalia in vitro, tecnicamente meno barbara della prova dell’acqua o dei carboni ardenti cui venivano sottoposte le presunte streghe nel Medioevo, ma a esse molto vicina nello spirito.

La shitstorm contro Silvestri è solo un antipasto delle zozzerie con cui qualcuno potrebbe insidiare la cerchia di Evita Melon
La vera tortura, per Silvestri, erano stati tutti quei mesi in cui la sua credibilità era stata messa sulla graticola. «Una sofferenza enorme, ormai non più sopportabile», si è sfogata nel testo inviato al Corriere, a cui il quotidiano ha riservato un richiamo in prima pagina. E giustamente, come ha osservato Paolo Mieli a Radio24, perché il trattamento subito da Silvestri è una vera e propria violenza. Una shitstorm (ma diciamolo in italiano, “tempesta di merda”, così Rampelli è ancora più contento) tanto più disgustosa perché ha coinvolto quattro innocenti: la deputata, il suo compagno, un caporione di destra che in quanto tale può starci sui maroni ma non semina figli naturali in giro (non a questo giro, almeno), e soprattutto un bebè che ha l’unica colpa di essere stato concepito da una giovane deputata il cui seggio in Parlamento faceva gola a qualcun altro. «A un uomo, probabilmente un politico», afferma Silvestri nella sua lettera, lasciando ai maligni la poca fatica di indovinare di che partito. E ai solutori più che abili l’identificazione del cacicco a torto sospettato di inseminazione clandestina, a partire dalle foto della conferenza stampa in cui due anni fa si dava notizia del passaggio di Silvestri a FdI (ancora partitino d’opposizione). Accanto a lei si vedono Luca Ciriani e il cognatissimo Francesco Lollobrigida, attualmente ministri, nonché il cosplayer di Minni Giovanni Donzelli. Viene voglia di dar retta ancora a Mieli, esperto di arcana imperii antichi e moderni, quando intravede in questa House of Carta igienica un antipasto di zozzerie di maggior calibro con cui qualcuno potrebbe insidiare la saldezza della «cricca» (ipse dixit) politico-amical-familiare di Evita Melon. I laboratori di analisi e il Corriere si tengano pronti.