L’insostenibile leggerezza delle tessere

Stefano Iannaccone
28/01/2022

La corsa al Colle dimostra la crisi profonda dei partiti e la debolezza delle coalizioni. Dal centrodestra, dove Salvini è tallonato da Meloni e Fi è nel caos, al centrosinistra con un Pd in balia delle correnti e il M5s in frantumi. Lo scenario.

L’insostenibile leggerezza delle tessere

Nessuna appartenenza, solo un’organizzazione per bande all’interno di contenitori politici. L’elezione del Presidente della Repubblica sta svelando, in maniera definitiva, la dissoluzione dei partiti. Da destra a sinistra, non c’è più una struttura in grado di reggere. E non c’è nulla che possa essere paragonato ai partiti tradizionali, in cui c’era una distanza, ma la tessera in tasca era sinonimo di condivisione di un progetto. Basti pensare a quel che è stata la Democrazia cristiana, una federazione di correnti legati dal filo della Balena Bianca.

La Lega e il braccio di ferro con Fratelli d’Italia

Anche nella Lega si è sgretolato quel monolitico, di stampo quasi leninista, che ha sempre contraddistinto il Carroccio. Nella terza votazione per il nuovo Capo dello Stato, si sono viste molte smagliature. La più evidente è stata il travaso di preferenze verso Guido Crosetto, indicato come candidato di bandiera da Fratelli d’Italia. I 41 voti in più sono arrivati per lo più da leghisti che hanno voluto lanciare un messaggio al loro leader, Matteo Salvini. Meno criptico il senso delle preferenze date al ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che ha ricevuto 19 preferenze. I fedelissimi si sono stretti intorno al titolare del Mise. Ma la dissoluzione non è solo nei partiti, emerge nelle coalizioni che pure sembravano le più solide. Nonostante i selfie e i comunicati in cui si esalta l’unità e la compattezza, Giorgia Meloni ha preso ulteriormente le distanze dall’alleato leghista: la mossa di Crosetto ha sparigliato le carte, con un atto ostile verso il leader della Lega. Fratelli d’Italia, d’altra parte, è al momento l’unico soggetto immune all’autodistruzione interna.

L'elezione del presidente della repubblica evidenzia la crisi dei partiti
Il segretario della Lega Matteo Salvini (da Fb).

Le due anime di Forza Italia e l’assedio di Toti & Brugnaro

Addirittura Forza Italia, un tempo blocco inscalfibile sotto l’egida di Silvio Berlusconi, è attraversata da tensioni e spaccature. Da un lato i moderati, l’ala governativa di Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, che coltivano l’ambizione di un progetto centrista; dall’altra gli esponenti che sostengono la necessità di andare avanti con l’alleanza leghista, tra cui ci sono il coordinatore degli azzurri, Antonio Tajani e la pasionaria berlusconiana, Licia Ronzulli. Sono le due macro tribù che si contenderanno il destino del partito alla fine della corsa al Quirinale. In mezzo c’è l’anziano fondatore, alle prese con problemi di salute e con la consapevolezza che il suo ciclo politico è tramontato. Del resto la galassia berlusconiana si era già frantumata nei mesi scorsi, con la nascita di Coraggio Italia, frutto di una scissione tra i forzisti, portata avanti dal presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, e dal sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. Un altro accampamento centrista in un quadro spezzettato, che di fatto dice di essere nel centrodestra, ma sul Colle si era smarcato anche dall’ipotesi di sostenere Berlusconi.

la crisi dei partiti esplode con la corsa al QUirinale
Il segretario Pd Enrico Letta (Getty Images).

Nel Pd Letta deve fare i conti con Franceschini

Ma la questione non è solo di un’area politica, anzi. Nel Pd le correnti sono organizzazioni a sé stanti, veri micropartiti, senza considerare la galassia di piccoli partiti che gravitano intorno ai dem. Il segretario Enrico Letta deve fare i conti, al suo interno, con il ministro della Cultura, Dario Franceschini, che controlla i gangli del partito e una quota sostanziosa di parlamentari. La strategia franceschiniana, per il Quirinale, è quella di contrastare l’elezione di Mario Draghi. Secondo rumors, starebbe sostenendo l’operazione-Mattarella con il voto dato al Presidente della Repubblica in carica come segnale del Parlamento. Non è un mistero che l’iniziativa sia stata ideata, dalle parti di Largo del Nazareno, da Matteo Orfini. La tesi dell’ex presidente dem non ha trovato d’accordo Letta, che così continua a subirne l’azione. C’è poi la monade di Goffredo Bettini, battitore libero ma non troppo, suggeritore di trame a molti dirigenti, quasi sempre eretico nei confronti della linea ufficiale. Il caso più emblematico è però l’insediamento degli ex renziani, capeggiati dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e dall’ex braccio destro di Matteo Renzi, Luca Lotti, che annovera l’ex capogruppo al Senato, Andrea Marcucci. Da come si muove sembra quasi un indipendente. Qualsiasi mossa deve tenere conto delle possibili reazioni di quella componente, altrimenti il rischio è quello di possibili fuoriuscite in direzione di Italia viva o, chissà, di Azione, la creatura forgiata da Carlo Calenda.

L'elezione del presidente della repubblica evidenzia la crisi dei partiti
Il leader M5s Giuseppe Conte (Getty Images).

M5s verso l’implosione: Conte fatica a controllare le truppe

E come ciliegina sulla torta c’è l’esempio massimo di un soggetto in dissoluzione: il Movimento 5 stelle. Il leader ufficiale è Giuseppe Conte che per il Quirinale ha indicato di lasciare scheda bianca nelle prime votazioni, salvo trovarsi una valanga di preferenze per Mattarella. L’avvicinamento dell’avvocato a Salvini poi ha indispettito Letta, mettendolo sul chi vive e incrinando l’alleanza. Votare Mattarella è stata una strategia orchestrata dai senatori del M5s, come era emerso in un’assemblea delle scorse settimane, che ha trovato in Luigi Di Maio un grande sponsor. Nel segno di questo dualismo, va quindi avanti l’elezione del Capo dello Stato, ma all’interno di queste macro-aree, ci sono molteplici fazioni, tra le più note ci sono i grillini duri e puri, alla Danilo Toninelli, e i progressisti della prima ora, come il presidente della Camera, Roberto Fico. Non è certo un caso se a getto continuo i gruppi parlamentari pentastellati perdono pezzi. Finendo un po’ a destra, un po’ a sinistra e un altro po’ in progetti nuovi, come la formazione l’Alternativa che ieri ha puntato su Nino Di Matteo. Nel big bang di una politica senza più partiti. In cui la tessera è scaduta anche se viene rinnovata. Perché a mancare è il senso di appartenenza.