Accusato di lesioni personali e stalking nei confronti dell’ex compagna, il giornalista Enrico Varriale andrà a processo con rito immediato, visto che la Procura di Roma ha ottenuto a suo carico «prove schiaccianti». Il caso era esploso lo scorso 30 settembre, quando all’ex vice direttore di Rai Sport (che ha negato ogni addebito) era stato notificato il divieto di avvicinamento «a meno di 300 metri dai luoghi frequentati dalla persona offesa». Quel giorno è finito un incubo, che la donna vittima di violenze domestiche ha ripercorso in un’intervista concessa a Repubblica.
Varriale, gli attacchi di panico della compagna
Il divieto di avvicinamento è arrivato a fine settembre, a quasi due mesi dalla denuncia sporta il 9 agosto. Un lasso di tempo che è sembrato lunghissimo alla protagonista, suo malgrado, di questa vicenda. «Intanto io avevo paura anche quando ero chiusa dentro casa, ho capito cosa significa avere attacchi di panico. Mi era stata assicurata protezione, ma ero sola, con il rischio di cedere alle richieste di incontro. Lui veniva sotto casa, chiedeva di vederci», ha raccontato la donna, che ha deciso di denunciare solo quando i segni sul corpo sono diventati evidenti. «Mi hanno consigliato di andare in ospedale ed è partita la procedura. Mi ha contattata un ispettore di polizia molto preparato e mi ha elencato le opzioni. La sera stessa Enrico mi ha citofonato insistentemente».
Varriale, 50 giorni dalla denuncia al divieto di avvicinamento
Circa 50 giorni di vera angoscia per la vittima. «Ogni giorno era una tortura. Ho perso 5 chili, sbirciavo dalle tende e mi sentivo spiata. Non mi contattava tutti i giorni, ma ho ricevuto centinaia di messaggi e telefonate», ha raccontato la donna. «Ogni volta che suonava il citofono tornavo al momento dell’aggressione, sentivo le mani stringersi intorno al mio collo, il pollice sulla mia gola Ho ricominciato a dormire solo due giorni dopo il provvedimento».
Varriale, gli scatti d’ira e poi l’aggressione
La donna è tornata sull’aggressione più violenta, quella del 6 agosto: «Urlavo ma Roma era deserta, c’era solo il portiere che è arrivato incontrando Enrico mentre scendeva le scale», ha raccontato, sottolineando di aver aspettato a sporgere denuncia in quanto si sentiva in colpa. Fino a quando non ha trovato il coraggio: «Ho iniziato a rileggere gli eventi, a metterli in fila. Tutti gli scatti di ira, le pretese che aveva nei miei confronti. Erano solo l’inizio della spirale di violenza. La violenza fisica è l’ultimo atto, prima ci sono i soprusi psicologici», ha detto, invitando le donne vittima di abusi a denunciare, senza scendere a compromessi.