Il 25 settembre, con la sconfitta alle Politiche, è iniziato il lungo e travagliato inverno del Partito democratico. Da allora, il partito ha affrontato un processo interno, una stagione congressuale e le primarie. Vinte a sorpresa il 26 febbraio da Elly Schlein contro lo sfidante e favorito Stefano Bonaccini. La nuova segretaria ha fin da subito promesso di rinnovare e ricostruire il partito, dichiarando guerra a «cacicchi e capibastone», per restituire un ruolo alla sinistra. Un’impresa che però si sta rivelando durissima. Lei stessa, commentando in diretta Instagram la batosta alle ultime Amministrative, ha ricordato, parafrasando Mao: «A chi pensa che sia finita, io dico che abbiamo solo cominciato: il cambiamento non è un pranzo di gala, è scomodo. Abbiamo un lavoro lungo davanti». Nel libro Quale PD. Viaggio nel partito di Elly Schlein (editore Laterza), il giornalista David Allegranti delinea le strade che ora si aprono di fronte al Partito democratico attraverso le voci dei protagonisti. Tag43 vi propone un estratto dell’intervista a Pippo Civati.

Una persona che conosce bene Elly Schlein, e da più tempo di altri, è Pippo Civati. L’ha vista crescere, è stato una sorta di fratello maggiore. «Sono troppo legato a questa storia, non mi sento di dare un giudizio politico come lo darei con altri», mi dice via Skype. Guarda a questa nuova fase del Pd con molta cautela, anche se, dice, potenzialmente la vittoria di Schlein può essere d’aiuto per chi è ancora più a sinistra («Anche le nostre idee a questo punto potrebbero non sembrare più fuori dal mondo…»). Sulla carta, mi spiega, è tutto fantastico, sembra che Possibile, il partito fondato dallo stesso Civati, dove Schlein ha militato, abbia egemonizzato il Pd. Anzi sembra che un altro Pd sia Possibile. Ma è davvero così? Se lo chiede Civati e me lo chiedo anche io: «Chi sostiene Schlein, da Provenzano a Orlando, deve sapere che la nuova segretaria del Pd non ha la piattaforma di Pedro Sánchez. Nemmeno di Podemos, certo, ma di sicuro è più a sinistra dei socialisti spagnoli». Chiarissimo. Ma la svolta, ammesso che di vera svolta si tratti, come è avvenuta? In questa storia, spiega Civati, «ci sono due elementi tipici della storia del Pd. Anzitutto, c’è un gruppo dirigente e una struttura che tutto sommato non sono mai cambiati, e che temo non cambieranno nemmeno con Elly Schlein. Poi, secondo elemento, questo gruppo ciclicamente sposa una novità, sperando di orientarla, assimilarla, farla propria a seconda della corrente che ciascuno rappresenta. È sempre andata così. La vera rottura, va detto, era stata imposta da Renzi, almeno formalmente. Perché Renzi, come me, contestava tutti; lui a pallonate, io con il ragionamento politico. Quando ha vinto è successa una cosa simile a quella di oggi, perché una parte consistente del Pd alla fine Renzi l’aveva sostenuto. Così come oggi ha sostenuto Schlein, che rappresenta un innegabile elemento di novità. Anche questo è un aspetto tipico del Pd: che ci sia Renzi o Schlein, bisogna stare tutti compatti. Tutti sposano la leadership, di solito per un anno e mezzo-due a seconda del momento. Ora c’è Schlein, che ha vinto largamente le primarie, senza alcun dubbio, seppur con una partecipazione piccolissima. E questo deve far riflettere tutti. Io nel 2013 presi 400 mila voti, che ai tempi valevano il 14 per cento».
«La vera rottura, va detto, era stata imposta da Renzi, almeno formalmente. Perché Renzi, come me, contestava tutti; lui a pallonate, io con il ragionamento politico. Quando ha vinto è successa una cosa simile a quella di oggi, perché una parte consistente del Pd alla fine Renzi l’aveva sostenuto. Così come oggi ha sostenuto Schlein, che rappresenta un innegabile elemento di novità. Anche questo è un aspetto tipico del Pd: che ci sia Renzi o Schlein, bisogna stare tutti compatti. Tutti sposano la leadership, di solito per un anno e mezzo-due a seconda del momento»
Schlein ha insomma vinto sì le primarie, ma ha dovuto «ricorrere all’impianto del Pd, che forse era l’unica cosa da cambiare davvero. È chiaro il paradosso? Quindi la domanda che mi faccio, per il momento senza avere una risposta, è: come va a finire? Perché, e lo dico con aria divertita, ho appena scoperto che il Pd la pensa come me. Le stesse persone che non mi telefonavano più, che non mi hanno voluto sentire, che non mi hanno voluto candidare – di nuovo, lo dico ridendo –, che non hanno mai voluto alimentare con me alcun tipo di ragionamento o di confronto, oggi sostengono lei e dicono le cose che io e altri abbiamo detto da sempre. Prendiamo il salario minimo. Noi ne abbiamo parlato per due anni da soli, ora è la bandiera del Pd. Persino Bonaccini, durante la campagna per le primarie, lo ha rivendicato. Di questo passo, c’è pure la possibilità che nel Pd inizino a parlare di patrimoniale, altra parola a me cara. Ma succederà per davvero o ci sarà qualche timidezza?».
«Non dimentichiamo che tutto il gruppo parlamentare è stato costruito in un certo modo anche questa volta, come è sempre accaduto, e che la gestione del potere è sempre la stessa fin dalla fondazione del Pd. Il Pd resta il solito. Il Pd non è cambiato con la vittoria di Elly Schlein, ma magari cambierà. Diciamoci la verità: nemmeno coloro che la sostenevano pensavano che avrebbe vinto. Era un sontuoso riposizionamento, il loro»
Una cosa, dice Civati, che metterà in difficoltà i dirigenti del Pd però c’è, «ed è la questione della guerra in Ucraina. Io ho una posizione molto più cauta rispetto a quella atlantista classica. Tuttavia, per il resto, il Pd ha adesso il programma di Possibile. Resta comunque un punto da chiarire e riguarda la credibilità del Pd e del suo gruppo dirigente: come possono stare insieme non tanto le singole correnti, ma proprio l’impianto complessivo del Pd, con la ‘ventata d’aria fresca’, come dicono di Schlein quelli che, usando espressioni come questa, dimostrano di crederci poco? Molto dipenderà da quanto Schlein sarà in grado di gestire queste dinamiche del Pd e da quanto sarà lasciata in pace, anche da chi l’ha sostenuta. Non dimentichiamo che tutto il gruppo parlamentare è stato costruito in un certo modo anche questa volta, come è sempre accaduto, e che la gestione del potere è sempre la stessa fin dalla fondazione del Pd. Il Pd resta il solito. Il Pd non è cambiato con la vittoria di Elly Schlein, ma magari cambierà. Diciamoci la verità: nemmeno coloro che la sostenevano pensavano che avrebbe vinto. Era un sontuoso riposizionamento, il loro. I vari Franceschini hanno pensato: “Prendiamone una brava”, perché Elly è brava di sicuro, “che contesti Bonaccini, peraltro nella sua stessa regione, e allo stesso tempo teniamo aperte tutte le posizioni”. Sarei curioso di sapere che cosa accadrebbe se cadesse questo governo e ci fosse la possibilità di crearne un altro. Il gruppo dirigente del Pd ha governato con tutti, stavolta cosa farebbe? Per questo penso che tra i sostenitori di Schlein ci sia chi sulla sincerità ha molto da lavorare. Paradossalmente, le novità con Bonaccini sarebbero state maggiori perché avrebbe portato nel partito una classe di cinquantenni che oggi sono sui territori. Sindaci, amministratori locali. Non Franceschini».
«Sarei curioso di sapere che cosa accadrebbe se cadesse questo governo e ci fosse la possibilità di crearne un altro. Il gruppo dirigente del Pd ha governato con tutti, stavolta cosa farebbe? Per questo penso che tra i sostenitori di Schlein ci sia chi sulla sincerità ha molto da lavorare»
Detto questo, spiega Civati, cioè detto delle dinamiche interne al Pd, c’è da affrontare anche la gestione della coalizione: «Sono tutti contenti perché c’è una leader giovane, ma il vero problema è che c’è un pezzo di elettorato Pd fuori dal Pd. Una parte vota Conte, e non è detto che rientri subito; l’altro pezzo, politicamente più strutturato, vota Renzi-Calenda. Bonaccini avrebbe condotto il Pd nel vecchio centro dalemiano, nel mezzo, di volta in volta parlando con gli scappati di casa della sinistra più radicale e con i borghesi moderati. Con lei questa operazione va in corto circuito. A Firenze, a marzo, alla manifestazione antifascista, c’è stato l’abbraccio con Conte. Che cosa vuol dire? Ancora non si sa, sono tutte cose che dovremo capire nei prossimi mesi». Sempre a proposito di geopolitica delle alleanze, «a Renzi e Calenda, se non fossero troppo avidi politicamente, potrebbe persino convenire avere un Pd più social-democratico, più di sinistra, magari più piccolo con cui eventualmente allearsi. Ma se invece entrano in diretta competizione, può finire molto male. Lo stesso vale per i Cinque Stelle, che non riconoscono al Pd un ruolo centrale. Insomma, rischia di essere un film simile a quello visto l’estate scorsa, quando alla fine il Pd si è trovato da solo».
«A Renzi e Calenda, se non fossero troppo avidi politicamente, potrebbe persino convenire avere un Pd più social-democratico, più di sinistra, magari più piccolo con cui eventualmente allearsi. Ma se invece entrano in diretta competizione, può finire molto male. Lo stesso vale per i Cinque Stelle, che non riconoscono al Pd un ruolo centrale»
La questione delle alleanze è centrale e forse a Schlein servirà davvero quello che Letta non ha realizzato, cioè un campo largo, ma, spiega Civati, «spero che il Pd si sia accorto che non siamo più alle primarie di Prodi del 2006, quelle della consacrazione con milioni di persone, e che siamo dentro uno schema proporzionale. La competizione va gestita con molta sapienza. Se nel Pd prevale la linea Orlando, l’alleanza con Renzi non la fai più. Altro che campo largo. E se a quel punto l’alleanza la fai solo con i Cinque Stelle, c’è un settore della borghesia italiana che non ti vota». La dinamica che ha permesso a Schlein di vincere è interessante, ma proprio perché è così interessante Civati preferisce restare cauto. Anche per la natura del voto uscito fuori dalle primarie. «La vittoria di Bonaccini era data per scontata. Ai miei amici sondaggisti dicevo che Elly aveva molti più voti e che stavano giocando su un campo che non conoscevano, perché è andata a votare gente che vota Unione popolare, De Magistris. Alle primarie del Pd quando il Pd è così debole culturalmente vanno a votare in pochi, pochissimi, ma molto vari. Conosco anarchici che sono andati a votare alle primarie del Pd. Per fare cosa? Per sabotarlo dall’interno?».