Arabia Saudita, Giappone, Marocco. In ordine decrescente di epicità dell’impresa calcistica, erano state loro le tre sorprese del primo turno di Qatar 2022. I Falchi, dopo aver ghermito l’Argentina, si sono sciolti come neve al sole (del deserto) e non sono riusciti a superare il girone. I Samurai Blu, che dopo aver battuto la Germania avevano superato anche la Spagna, si sono fatti infilzare dalla Croazia nel duello dei rigori, il preferito dagli slavi. I Leoni dell’Atlante, invece, dopo aver esordito pareggiando proprio con la Croazia e aver vinto contro il Belgio, a differenza dei nipponici sono riusciti a mettere a segno la zampata negli ottavi, facendo fuori la Spagna che era data per stra-favorita. Per il Marocco si tratta di una vittoria storica: i maghrebini avevano raggiunto gli ottavi di finale una sola volta, nel 1986, quando vennero poi sconfitti dalla Germania Ovest. E adesso c’è grande curiosità per capire cosa potrà combinare contro il Portogallo.
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Lo sterile tiki taka spagnolo e la difesa attenta del Marocco
Il Portogallo, così come la Spagna, è una squadra di palleggiatori. Il quarto in arrivo potrebbe dunque svilupparsi secondo lo stesso spartito: possesso palla iberico (o meglio lusitano), difesa attenta dei nordafricani, pronti a ripartire. È andata così contro la Spagna, in un match combattuto ma con pochissime vere occasioni da gol, in cui le Furie Rosse hanno fatto il loro solito tiki taka (77 per cento di possesso palla), senza però riuscire a impensierire più di tanto il Marocco: oltre mille passaggi, pochissimi tiri. «Il nostro centravanti è lo spazio», recita una celebre massima di Pep Guardiola. Sì, ma quando lo spazio non c’è, forse il centravanti serve. E Luis Enrique ha relegato di nuovo Alvaro Morata in panchina, preferendogli Marco Asensio falso nueve. Sbagliata tutto, compresa la mossa di schierare terzino il centrocampista Marcos Llorente, messo in imbarazzo a più riprese da uno straripante Sofiane Boufal. Tuttavia, più che la prolungata assenza della punta o le difficoltà del difensore adattato, il vero problema della Spagna è stata la sua orizzontalità: un tiki taka sterile, fine a se stesso, senza idee. Incapaci atavicamente di tirare in porta, quando sono stati costretti a farlo dal dischetto agli spagnoli sono venute le gambe molli. È dal 2010, anno in cui si laurearono campioni del mondo, che gli spagnoli non riescono a superare un turno a eliminazione diretta in un Mondiale. Gavi non è Iniesta, Pedri non è Xavi, Busquets è lui ma molto più vecchio: eppure continuano a giocare come allora.

Amrabat, Boufal e Bounou sugli scudi: Leoni dell’Atlante al top della forma
Modulo 4-5-1 con due linee molto strette, fasce bloccate e pressing portato dalle mezzali: al ct marocchino Walid Regragui è bastato poco per incartare la partita. Che è riuscito a portare ai rigori. Ma se avesse voluto rischiare qualcosa, avrebbe potuto creare molto di più, vista la condizione fisica dei suoi. Davvero un bel Marocco quello visto in campo contro la Spagna, certo non capace di produrre molto, ma di esaltare per grinta e attenzione difensiva. Monumentale Sofyan Amrabat che ha corso per due facendo filtro e ripartendo. Commisso, il presidente della Fiorentina detentrice del suo cartellino, si starà fregando le mani. Bene anche Noussair Mazraoui, terzino adattato a sinistra perché a destra c’è Achraf Hakimi (in ombra fino al rigore decisivo, al Marocco mancano le sue accelerazioni).

E sempre su questa fascia si è fatto apprezzare il già citato Boufal: nato in Francia, ha da poco compiuto 29 anni e gioca nell’Angers, dove aveva iniziato la carriera. In mezzo un buon passaggio al Lille e quattro stagioni da dimenticare spese tra Premier League (Southampton) e Liga (Celta Vigo). Un brutto anatroccolo diventato cigno proprio nella partita più importante della sua carriera: è soprannominato “L’enfant du dribble” e, dopo la gara di ieri, il nomignolo sembra quantomai giustificato. Un funambolo di periferia che, chissà, potrebbe aver stuzzicato palati fini. Sta anche qui la bellezza del Mondiale, palcoscenico calcistico per eccellenza in cui mettersi in mostra. E, contro la Spagna, lo ha fatto in modo particolare l’estremo difensore Yassine Bounou, detto Bono, capace di parare due rigori su tre agli iberici (uno è andato sul palo). Non esattamente un parvenu, Bono, che la stagione scorsa ha vinto il Trofeo Zamora, assegnato ogni anno al portiere della Liga che subisce meno reti. Ieri la gara è terminata 0-0 e dall’inizio del torneo il Marocco ha concesso appena una rete, tra l’altro un autogol (quattro quelle segnate). Impressionante, in generale, la solidità difensiva dei nordafricani.
Il cambio di ct a pochi mesi dal Mondiale è stato decisivo
«È un grande giorno per il Marocco. Non abbiamo ancora fatto niente, ora ragioniamo di partita in partita, ma avevo detto che non saremmo venuti qui solo per tre partite. Perché non sognare di vincere il Mondiale? Perché non sognare anche la semifinale?». Così il commissario tecnico Regragui in conferenza stampa. Una bella carica. E pensare che la presenza al Mondiale del Marocco non è nemmeno “sua”. Il commissario tecnico si è seduto infatti sulla panchina dei Leoni dell’Atlante solo ad agosto, a seguito dell’esonero di Vahid Halilhodzic, allontanato a pochi mesi dal fischio d’inizio della Coppa del Mondo. Il bosniaco, che aveva ereditato il timone da Hervé Renard dopo la deludente Coppa d’Africa 2019, aveva dato il via a un rinnovamento della Nazionale, inanellando 20 vittorie, sette pareggi e solo tre sconfitte. Ma ha pagato (nonostante il rinnovo di contratto fino al 2024) le divergenze con i vertici federali, dovute in particolare alla gestione di Hakim Ziyech. A settembre del 2021, l’allora allenatore del Marocco annunciò di averlo escluso dalla squadra impegnata nelle qualificazioni mondiali per «comportamenti inaccettabili»: il calciatore, pare, aveva finto un infortunio per sottrarsi a un’amichevole contro il Ghana. I due da quel momento in poi si sono beccati pubblicamente a più riprese, fino all’addio di Ziyech alla nazionale. «Non giocherò mai più per il Marocco finché ci sarà questo allenatore», aveva dichiarato a maggio il trequartista del Chelsea. Nel frattempo, Halilhodzic aveva avuto anche frizioni con Mazraoui: anche per lui si prospettava un Mondiale da spettatore. Alla fine, la federcalcio di Rabat ha deciso di sollevare il tecnico, affidando la panchina a Regragui. Che, ovviamente, ha subito reintegrato i due talenti.

Nato e formatosi calcisticamente in Francia, Regragui ha fatto un percorso simile a quello di tanti suoi calciatori. Dopo aver appeso le scarpette al chiodo (ha vestito 45 volte la maglia dei Leoni dell’Atlante) e aver ottenuto il diploma da allenatore nell’esagono, ha iniziato la carriera da tecnico in Marocco, prima come vice del ct Rachid Taoussi e poi come allenatore del FUS Rabat. A seguito di una parentesi in Qatar all’ Al-Duhail, successivamente si è seduto sulla panchina del Wydad Casablanca, con cui ha vinto la Champions League africana nel 2022.
La maggior parte dei calciatori è nata e cresciuta (anche calcisticamente) in Europa
Per quanto nordafricana, la rappresentativa guidata da Regragui è molto europea: dei 26 convocati, 21 giocano appunto in Europa, continente dove buona parte dei Leoni dell’Atlante è nata e poi cresciuta calcisticamente (proprio come il ct), sparsa tra Francia, Paesi Bassi e Belgio. Ma anche Spagna, come nel caso della star Achraf Hakimi: l’ex interista, cresciuto nel Real Madrid e oggi al Paris Saint-Germain, è infatti nato a Madrid da genitori marocchini e (una volta acquisita la cittadinanza) avrebbe potuto vestire la camiseta delle Furie Rosse, che ha invece contribuito a eliminare con il cucchiaio dal dischetto. «Avrei potuto benissimo giocare nella Spagna, però non mi trovavo, non mi sentivo a casa. Sono anche stato due giorni al centro federale spagnolo, ma non faceva per me». A soli 17 anni (oggi ne ha 24) è stato “intercettato” dal Marocco, con cui sta disputando il suo secondo Mondiale.

Non solo scouting: la creazione dell’Accademia Calcistica Mohammed VI
È dal reclutamento all’estero dei migliori talenti delle seconde generazioni, soprattutto, che sta passando il successo del Marocco. Ma non solo: il movimento calcistico sta raccogliendo anche i frutti dell’Accademia Calcistica Mohammed VI, operativa dal 2009 e destinata alla formazione di giovani calciatori dai 12 ai 18 anni. Una Clairefontaine del Maghreb, da cui sono usciti Yousef En-Nesyri, Nayef Aguerd, Azzedine Ounahi, pilastri della Nazionale di Regragui, così come il terzo portiere Ahmed Reda Tagnaouti.
Marrakech 😭🇲🇦🐎 pic.twitter.com/cgZM6odegX
— Fف ✡️🇲🇦 (@TheFariss0) December 6, 2022
L’atmosfera nel ritiro e la passione dei tifosi allo stadio
Per decisione dell’allenatore Walid Regragui e del presidente della federcalcio Fouzi Lekjaa, tutti i membri della squadra marocchina hanno diritto a un viaggio all-inclusive in Qatar per i loro famigliari più stretti. «Il nostro successo non è possibile senza la felicità dei nostri genitori». Atmosfera intima e familiare nell’hotel Wyndham Doha West Bay, quartier generale dei Leoni dell’Atlante, dunque. E grande carica dai tifosi una volta fuori: almeno 15 mila marocchini vivono in Qatar e diverse altre migliaia hanno intrapreso il viaggio per assistere alla prima Coppa del Mondo ospitata da un Paese arabo. L’ottavo di finale contro le Furie Rosse disputato all’Education City Stadium, tra l’altro, è stata anche una sfida dal valore geopolitico tra i due Paesi, divisi dallo stretto di Gibilterra: sullo sfondo la questione delle enclave spagnole di Ceuta e Melilla. Anche per questo, a festeggiare lo storico approdo ai quarti del Marocco è stato l’intero mondo arabo.
La grande fame di calcio del Marocco: vuole il Mondiale 2030
In generale, il Marocco è un Paese che nel calcio ha raccolto tutto sommato poco. Appena una Coppa d’Africa in bacheca, vinta nell’ormai lontano 1976. Ma il movimento è in forte crescita e quanto accaduto ieri l’ha certificato. Si tratta di un Paese che ama profondamente questo sport e che ha grande fame di calcio. Chi è stato a Marrakech avrà notato l’enorme quantità di ragazzi che passeggiano per l’immensa piazza Jamaa el Fna e le strette vie dei suq indossando le divise di Paris Saint-Germain, Real Madrid, Barcellona, Juventus e Bayern Monaco. Dopo i “no” ricevuti nel 1994, nel 1998, nel 2006 e nel 2010, il Marocco ha conteso fino all’ultimo l’assegnazione del prossimo Mondiale a Stati Uniti, Canada e Messico: ha vinto la candidatura congiunta americana, ma Rabat potrebbe riprovarci per il 2030, magari assieme ad Algeria e Tunisia.