Il presidente russo Vladimir Putin torna a impugnare l’arma del gas. Nella notte tra giovedì 30 giugno e venerdì primo luglio ha firmato un decreto «sull’applicazione di misure economiche speciali nel settore dei combustibili e dell’energia in relazione alle azioni ostili di alcuni Stati stranieri e organizzazioni internazionali». La misura trasferisce con effetto immediato i diritti sul giacimento Sakhalin 2 a una nuova società russa per ragioni di interesse nazionale e sicurezza.
Si tratta della prima nazionalizzazione di una compagnia energetica con azionisti stranieri
Si tratta della prima nazionalizzazione di una compagnia energetica – la Sakhalin Energy – con azionisti stranieri. Il 27,5 per cento (meno un’azione) del giacimento è infatti detenuto da Shell che, appena scoppiata la guerra in Ucraina, aveva dichiarato di voler vendere la quota che è stata recentemente valutata 4,1 miliardi di dollari. Il decreto firmato da Putin però mette i bastoni tra le ruote al colosso anglo-olandese: gli azionisti hanno infatti un mese di tempo per decidere se entrare o meno nella nuova società e coloro che rinunciano, come da decreto, potrebbero non essere completamente risarciti. Non solo: Mosca dal canto suo si riserva di esercitare potere di veto. I
In Sakhalin oltre a Gazprom e Shell sono presenti le giapponesi Mitsubishi e Mitsui & Co
In Sakhalin – di cui Gazprom è proprietaria al 50 per cento (+ 1 azione) – oltre a Shell sono presenti le società giapponesi Mitsubishi (10 per cento) e Mitsui & Co (12,5 per cento). Il premier nipponico Fumio Kishida lo scorso marzo aveva anticipato che il Paese non avrebbe abbandonato il giacimento, il cui gas arriva a Tokyo liquefatto. Ora il Giappone, che dipende per l’8,8 per cento dal gas naturale russo, sta valutando la possibilità di sostituire le importazioni di GNL acquistando più quantità sul mercato spot o da altri Paesi, anche se al momento le forniture dalla Russia non sono state interrotte.