Perché la debolezza di Putin ora spaventa davvero

Mario Margiocco
25/09/2022

Mentre i cittadini fuggono e l'economia crolla, lo zar continua a incarnare l’incubo russo del nemico alle porte. La minaccia atomica, bluff o meno, fa tremare l'Occidente perché mossa dalla disperazione. Neppure durante la crisi missilistica del 62 il mondo era così vicino al precipizio.

Perché la debolezza di Putin ora spaventa davvero

Migliaia di russi protestano e scappano dalla guerra di Putin, mentre altri ringraziano Dio perché il presidente finalmente inneggia alla lutte finale contro l’odiato Occidente, vero avversario più dell’Ucraina. «Il mondo intero dovrebbe pregare per la vittoria della Russia», dice Konstantin Malofeyev, un tycoon della finanza russa profeta della cristianità ortodossa putiniana, finanziatore di reti tv e siti internet filo Putin in Occidente e di gruppi armati mercenari, «perché questa storia può finire solo in due modi: o con una vittoria russa, o con un’apocalisse nucleare». Malofeyev aggiunge poi il solito vecchio mito russo di una Mosca salvatrice cristiana dell’umanità a fronte della decadenza occidentale, mito che ispira anche la chiesa del patriarca Kirill, come alla fine anche papa Francesco ha dovuto ammettere. «La storia della Grande Russia, della Terza Roma, continua…», dice il tycoon, «…e se non difendessimo la nostra unità nazionale non saremmo in grado di portare a compimento la nostra missione del Catechon universale, che salva il mondo intero dal demonio». Lo schema è noto: attraverso Bisanzio, Seconda Roma, Mosca è diventata la culla del genio cristiano e della vera civiltà, la Terza Roma. Per salvare il mondo occorre quindi minacciare la sua distruzione.

Perché la debolezza di Putin ora spaventa davvero
Vladimir Putin e il patriarca Kirill omaggiano il condottiero Alexander Nevsky (Getty Images).

La reiterata minaccia nucleare e quella energetica

La lettura di gran lunga maggioritaria data in Occidente dell’ultimo discorso di Putin è che è intriso di debolezza. Sta perdendo, ammette di fatto di avere perso in Ucraina, dove non c’è stata la passeggiata promessa a febbraio, ed è ora costretto a gettare nella mischia, quando saranno pronti, 300 mila riservisti (ma è pronto a dislocarne fino a 1 milione). La Cina che insieme agli Stati Uniti sarà quella che deciderà le sorti del conflitto prende sempre più le distanze; le sanzioni economiche mordono sempre più soprattutto nel settore tecnologico/militare. Restano tre mosse. Primo, uno pseudo referendum in quattro province in parte russofone dell’Ucraina orientale per poter dire che quella è Russia e quindi una cannonata ucraina diventa un attacco alla sacra terra da difendere anche con l’arma nucleare, come dice la dottrina strategica ripetutamente invocata. I russi sono da sempre specialisti in referendum dove tutti devono votare, come testimonia un timbro sulla carta di identità, pena pesanti sanzioni, e dove possono votare solo sì. Chi sa qualcosa dei referendum fatti sulla punta delle baionette nei Baltici nel 1940, quando Mosca era alleata di Hitler, vede ora una perfetta replica. Secondo, la costante minaccia nucleare. E terzo, più sicura e concreta, la minaccia energetica nei confronti dell’Europa, già da tempo alle vie di fatto, nella speranza che un inverno rigido pieghi l’opinione pubblica della detestata Unione europea.

L’uso dell’atomica condannerebbe Mosca a decenni di isolamento internazionale

Per quanto debole, il discorso di Putin ha allarmato perché mai, neppure all’epoca della crisi missilistica cubana dell’ottobre 1962, si era arrivati così vicini, apparentemente, al precipizio. Putin ha detto che non è un bluff. Può darsi. Certamente però è un gesto di disperazione, e non sappiamo a che punto si fermerà. Putin ha vissuto una graduale mutazione diventando col tempo un giocatore sempre più arrischiato, scriveva già a marzo Christopher Bort, dal 2017 al 2021 responsabile del Russian Desk nel National Intelligence Council americano. Molti esperti, europei e americani, e Bort ammette di essere stato fra questi, pensavano che non avrebbe scatenato un attacco frontale all’Ucraina. Ma Putin ha imparato che «audacia, sorpresa e la manipolazione della paura di un conflitto più grave sono mosse cruciali per ottenere ciò che vuole». Resta da vedere se fino al punto di fare di se stesso e del suo Paese un paria internazionale per parecchi anni, cosa che sarebbe fra le conseguenze dell’uso dell’arma atomica. Potrebbe usarla per spaventare gli occidentali e marcare l’inferiorità di un’Ucraina che, aiutata, si è dimostrata invece superiore sul campo. Ma aprirebbe un capitolo dalle molte incognite, anche sul fronte interno russo.

Perché la debolezza di Putin ora spaventa davvero
Vladimir Putin durante le celebrazioni della Pasqua ortodossa a Mosca (Getty Images).

La Russia non è mai stata Europa

La Russia è un gigante minerario energetico e territoriale (superficie doppia di quella degli Stati Uniti) ed è un nano economico, come ormai è chiaro anche ai distratti, con un Pil pari a quello della Spagna, che però ha un quarto della popolazione russa. Un nano economico con l’arma nucleare. La Russia ha una storia complessa, sempre legata a quella europea perché all’Europa ha sempre guardato con sentimenti controversi e ambigui, amandola (una significativa minoranza) e odiandola. Ma non è Europa. Ed è così da sempre. Dovrebbe aiutare a capirlo, fra gli infiniti esempi, la lettura  delle “Istruzioni” inviate nel 1767 dall’imperatrice Caterina II, Caterina la Grande, nata prussiana, alla Commissione legislativa che stava sistemando l’ordinamento statale. «La Russia è un Paese europeo», dettava nel preambolo Caterina. Per spiegare dopo che la vastità dell’Impero imponeva «un potere assoluto da attribuire alla Persona che governa» perché le decisioni devono essere rapide e inappellabili. Come scriverà mezzo secolo dopo il  marchese de Custine, ricordando le analoghe riforme filoeuropee ma con metodi mongoli di Pietro il Grande, il tutto portava a «una disciplina di tipo europeo usata per reggere una tirannia di tipo asiatico».

Così i funzionari russi fanno carriera e soldi nel Donbass
Il Cremlino (Getty Images).

La storica cortina di bugie intorno al Cremlino

Una delle conseguenze, passata indenne anzi rafforzata dai 70 anni di esperienza bolscevica, è che la vita pubblica russa è spesso avvolta da una impenetrabile cortina di bugie che diventa a volte una gigantesca tela di ragno in cui il Paese rischia di soffocare. Anche i leader occidentali mentono, eccome. Ma in genere Parlamenti, stampa, tv, dibattito pubblico li chiamano prima o poi  rendere conto delle bugie. Non così in Russia, dove il potere non ha contropoteri, se non nella rabbia repressa delle masse, o in fronde interne, sempre molto caute. Il discorso di Putin teletrasmesso nella mattina di mercoledì 21 settembre poggia tutto su una gigantesca bugia: l’Occidente ci attacca e noi dobbiamo difenderci. Quando Finlandia e Svezia preannunciavano a primavera, dopo l’attacco russo a Kyiv, la richiesta di ingresso nella Nato, Putin dichiarava che ciò voleva dire la nuclearizzazione del Mar Baltico, dimenticando che a questa aveva già provveduto lui, schierando nel 2016 nell’enclave russa di Kaliningrad missili in grado di colpire in pochi secondi Berlino, Amburgo, Helsinki, Stoccolma e molto altro. È vero che la Nato rappresenta oggi un vallo europeo che blocca la Russia verso Ovest, e lo sta facendo ormai anche sul Baltico. È vero che vi furono varie promesse (verbali) occidentali, americane le più importanti, nel 1989 e nei primi anni successivi, dopo che Mosca aveva dovuto concedere l’autonomia al suo impero europeo, di non fare entrare nella Nato nessun Paese dell’ex Patto di Varsavia salvo inevitabilmente la ex Germania orientale causa riunificazione tedesca. Ma è altrettanto vero che a partire dalla Cecoslovacchia di Vaclav Havel, candidatasi subito nel 1990 (l’ingresso avverrà insieme a Polonia e Ungheria nove anni più tardi), sono stati i Paesi dell’Est a chiedere con insistenza la protezione dell’Alleanza Atlantica, e non questa a forzarli, così come adesso sono state Svezia e Finlandia a voler entrare, dopo molti anni di stretta collaborazione militare e manovre congiunte, e non l’Occidente a obbligarle. Chi conosce il potere russo non si fida.

Tutte le volte che Putin ha minacciato di usare l'atomica
Il presidente russo Vladimir Putin (Getty Images).

Mosca, da sempre la grande sfida delle capitali occidentali

Putin si è ridotto a incarnare in veste contemporanea l’incubo russo del nemico alle porte, e invoca ora con una semi-mobilitazione generale e la ripetuta minaccia nucleare il diritto-dovere della Russia a difendersi con ogni mezzo da un’aggressione…che lui ha scatenato, il 24 febbraio scorso. Henry Kissinger descrive efficacemente nel suo World Order (2014) un tratto costante della psiche russa. «Quando è stata forte, la Russia si è comportata con la sprezzante sicurezza di una potenza superiore insistendo su una formale deferenza a fronte del suo status». Ci si può mettere in ginocchio davanti ai russi, ma nemmeno questo gli basta, diceva nell’estate del 1945 Jan Masaryk, ministro degli Esteri cecoslovacco, che tre anni dopo sarebbe stato “defenestrato” e trovato cadavere a Praga. «Quando è stata debole», prosegue Kissinger, «la Russia ha mimetizzato la sua vulnerabilità con ferventi invocazioni a grandi riserve di forza interiore. In entrambi i casi ha rappresentato una particolare sfida per le capitali occidentali abituate a uno stile alla fine meno complicato». La minaccia nucleare va oltre le «grandi riserve di forza interiore». E sconfina nella follia.