Se domenica prossima in Russia si votasse per le Presidenziali, Vladimir Putin non avrebbe rivali. Secondo gli ultimi sondaggi del Levada Center di metà giugno, affidabili e non certo pilotati, il 40 per cento dei russi voterebbe per l’attuale presidente. Dietro di lui il vuoto. Poi il nazionalista Vladimir Zhirinovsky con il 4 per cento e il comunista Gennady Zyiuganov con il 2 per cento. Più o meno la stessa percentuale che otterrebbe Alexey Navalny. Insomma, i rating di Putin sono in risalita da questa primavera, e il gradimento nei confronti del presidente si attesta intorno al 67 per cento.
Russia Unita corre ai ripari in vista del voto del 19 settembre
Il problema è che le prossime elezioni non sono quelle presidenziali, ma quelle per il parlamento e si vota a settembre. Qui la situazione è un po’ diversa. Il partito del potere Russia Unita guidato dall’ex capo di Stato Dmitri Medvedev è dato intorno al 30 per cento, sotto la maggioranza assoluta. Non solo: perderà sicuramente voti in favore dell’opposizione sistemica (nazionalisti, comunisti e socialdemocratici) e anche di quella extraparlamentare, con i liberali di Yabloko che potrebbero rientrare alla Duma. Ecco perché il Cremlino ha deciso cambiare cavalli e invece di lasciare che a rappresentare Russia Unita fosse Medvedev, non proprio amato dall’elettorato russo, ha ripescato due vecchie volpi come candidati di punta per l’appuntamento del 19 settembre: il ministro degli Esteri Sergei Lavrov e quello della Difesa Sergei Shoigu.
La strategia è chiara. I due sono gli uomini forti dello Stato, quelli che da sempre hanno affiancato Putin all’estero e in patria. Conosciuti e mai invischiati in scandali. E mai presi di mira da Navalny che con il suo team anticorruzione ha avuto invece gioco facile a smascherare Medvedev e gli oligarchi di turno. Lavrov, che ha passato i 70, e Shoigu che ci sta arrivando, non sono proprio di primo pelo, ma questo è appunto il loro vantaggio, almeno secondo i calcoli del Cremlino che stavolta mette in prima fila due personaggi con un curriculum trasparente (sempre che Navaly non tiri fuori qualche scheletro dall’armadio) e altamente simbolico.

Lavrov, l’immagine dura della Russia all’estero
Da una parte Sergei Lavrov è l’immagine della Russia all’estero. Dal 2004 è il ministro degli Esteri della Federazione. Negli Anni 90 è stato il vice di Andrei Kosyrev, poi ambasciatore alle Nazioni Unite fino alla chiamata di Putin. In questi 17 anni si è fatto la fama di duro, perfetto rappresentante di una politica estera che non fa complimenti e non teme di pestare i piedi a qualcuno. Nel decennio di Boris Yeltsin (1991-2000), la Russia era scomparsa dallo scacchiere internazionale assieme ai suoi protagonisti, con Putin dal 2000 le cose sono cambiate. E Lavrov è l’interprete del corso putiniano. Che dal 2007, anno del famoso discorso del presidente alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, ha cominciato a tracciare le linee rosse da non superare. Dalla crisi in Ucraina dal 2013-2014 – che Lavrov ha seguito con un certo distacco tanto che Putin a Kiev aveva mandato a trattare con i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Polonia il liberale Vladimir Lukin – Lavrov ha incarnato una linea ancora più dura nei confronti dell’Europa, che si è manifestata nell’incontro dello scorso febbraio con Joseph Borrel a Mosca, con l’Alto rappresentante di Bruxelles trattato come uno scolaretto.
Shoigu, l’uomo delle emergenze
Dall’altra parte c’è Sergei Shoigu, il garante della sicurezza in patria. Dal 1994 al 2012 è stato ministro delle Situazioni di emergenza, una sorta di Protezione civile, impegnato prima con Yeltsin e poi con Putin a combattere su ogni fronte interno. Cosa che nel Paese più vasto del mondo non è certo un lavoro comodo. Il fatto che sia rimasto così a lungo a capo di una cabina di regia essenziale e sottoposta a continue sollecitazioni depone sicuramente a favore delle sue qualità di manager. Aveva studiato per diventare ingegnere ed è finito a combattere le catastrofi naturali. Dopo una breve parentesi come governatore della regione di Mosca, dal 2012 è stato nominato ministro della Difesa.

L’incognita delle città e della generazione Navalny
Resta da vedere se la coppia Lavrov-Shoigu darà davvero una svolta a una campagna elettorale che per Russia Unita pare tutta in salita. Sicuramente i due faranno presa su quella parte dell’elettorato che, non vedendo alternative, ancora una volta darà fiducia al partito di Putin. È però improbabile che riescano a mobilitare le masse. Raggranellare il voto degli incerti, lontano dalle metropoli, sarebbe già un buon successo, ma difficilmente convinceranno gli elettori più giovani di Mosca o di San Pietroburgo. Allo stesso modo rimane l’incognita sulla generazione Navalny, più attiva in Rete che non nelle piazze. Che però potrebbe rimanere lontano dalle urne, facendo così indirettamente il gioco di Putin e dei suoi due ministri.