In un’intervista concessa a La Stampa all’avvicinarsi dell’ottantesimo anniversario della nascita di Lucio Dalla, il regista Pupi Avati – suo amico d’infanzia a Bologna – non ha escluso che l’omosessualità del cantante possa aver avuto origine da una cura ormonale al quale lo sottopose la madre, in quanto da ragazzino «era un assatanato delle donne».

«L’attrazione per il mondo femminile era presente e inequivocabile»
«Dopo la stagione d’oro dei teatri parrocchiali ha avuto una penalizzazione fisica esplicita, che ha gettato nel panico la madre. Lucio non cresceva, la mamma gli fece fare una cura a base di ormoni che in qualche modo lo ha compromesso. Non solo non è cresciuto, ma a un certo punto Lucio è diventato ispido, peloso», ricorda Avati. Che poi però va oltre: «Non so se questo mutamento abbia avuto riflessi in ambito sessuale». Nel periodo in cui i due suonavano insieme, a Dalla «piacevano moltissimo le ragazze, era un assatanato delle donne, era innamorato pazzo della sorella dell’impresario Cremonini, l’attrazione per il mondo femminile era in lui presente e inequivocabile».

«Allora era diverso, non è come oggi, certe cose si vivevano con impaccio e imbarazzo. Lucio chiuse tutti i rapporti con le persone del prima, credo anche un po’ per quella ragione. È un problema che tutti noi amici abbiamo vissuto, io di sicuro», racconta il regista. E poi, con rammarico: «Con Lucio, in tutta la mia vita, ho parlato di qualunque cosa, tranne che di questo aspetto. Mai».
«Per tutta la mia vita ho desiderato essere Lucio»
Durante l’intervista a La Stampa, Avati parla bonariamente anche della proverbiale avarizia del cantante («A Bologna lo chiamavamo tutti “il ragno” perché non aveva mai offerto un caffè a nessuno, era di una tirchieria pazzesca») e del suo rapporto con la religione («Andava sempre a messa, era un praticante assiduo, aveva il senso del sacro e lo si avverte in tante sue canzoni»), ma anche dello straordinario talento dell’amico: «Aveva in sé qualcosa di misterioso e sacrale, la sua era un’intelligenza speciale, era una sorta di tuttologo, capiva di tutto, quando vedeva i miei film scopriva cose che io stesso non sapevo di averci messo». Un talento messo in mostra fin dalla più tenera età: «Lo rivedo bambino, a tre-quattro anni, sul palcoscenico dei teatri di Bologna dove era la star, cantava, ballava, zampettava, chiudeva lo show in un tripudio di successo, frac e il cilindro in testa […] Era l’attrazione della serata, un bambino bellissimo, travolgente, avremmo voluto essere tutti come lui e, infatti, per tutta la mia vita, ho desiderato essere Lucio».