Non bastavano i deliranti paragoni con la dittatura nazista, né la sconcia esibizione delle tenute da deportati nei lager avvenuta a inizio novembre a Novara. Ora, con un ribaltamento a 360 gradi, i manifestanti no-Green pass se la pigliano con gli ebrei. È accaduto a Roma, dove un gruppo di contestatori del passaporto sanitario ha esibito un cartello (immortalato da una fotografia pubblicata da numerosi media) su cui stava scritto che si sta avverando quanto preconizzato da un celebre, e famigerato, pamphlet di inizio Novecento, I protocolli dei savi anziani di Sion, e cioè che gli ebrei ashkenaziti si apprestano a dominare il mondo. Per la verità, l’iniziativa dei “contestatori” romani non è nuova: già nello scorso agosto, la stessa scritta era campeggiata sui cartelli esibiti da alcuni no-vax parigini, guarda caso tutti militanti dell’estrema (e antisemita) destra francese.
I protocolli dei savi anziani di Sion, una Bibbia antisemita
Come si diceva, bisogna tornare a inizio Novecento, al 1919, per l’esattezza, per conoscere questo libello, destinato ad avere un ruolo centrale nella trista storia dell’antisemitismo occidentale, una vera e propria “Bibbia” dell’antisemitismo che conoscerà, nei decenni, una straordinaria divulgazione, naturalmente in concomitanza delle grandi campagne scatenate contro gli ebrei, quella nazista e poi quella fascista prima di tutte, ma anche, in tempi più recenti, nell’Est Europa (Polonia e Russia) e presso molte comunità dell’estremismo e del radicalismo islamici, dove ancora oggi viene diffuso e tenuto in grande considerazione.
I Protocolli dei savi di Sion, un clamoroso falso storico
La cosa sorprendente è che, a dispetto del suo successo, il libello è un clamoroso falso, anzi, uno dei più incredibili falsi storici mai avvenuti. E che la sua falsità sia stata acclarata non oggi, o in tempi recenti, ma addirittura subito dopo la sua prima pubblicazione, avvenuta a Charlottemburg, in Germania, nel 1919. Già nel 1921, infatti, Philip P. Graves, corrispondente da Costantinopoli del Financial Times (lo stesso giornale che solo l’anno prima aveva dedicato al pamphlet, tradotto in inglese da Lord Alfredo Douglas, il Bosie amato da Oscar Wilde, un’ampia recensione, consacrandone in qualche modo l’autenticità) dimostrò che si trattava di un falso, e che i 24 Protocolli, redatti sotto forma di un discorso che un “grande vecchio” ebreo aveva tenuto di fronte a un’Assemblea degli anziani per tracciare le linee di un vero e proprio piano strategico per la conquista del mondo, altro non era che un plagio di un pamphlet anti-napoleonico pubblicato nel 1864 da tale Maurice Joly in forma di dialogo tra Machiavelli e Montesquieu, a cui erano stati aggiunti altri testi antisemiti prodotti a inizio secolo negli ambienti dei cosiddetti “centoneri” russi, le bande armate zariste assoldate dalla polizia per fronteggiare la rivoluzione del 1905.
Evola sul pamphlet: «Quel conta non è la loro autenticità, bensì la loro veridicità»
Chissà, forse i no-Green pass ritengono, come sosteneva Julius Evola – il più importante intellettuale della destra radicale postbellica – che «quel conta non è la loro autenticità, bensì la loro veridicità». E infatti, Evola sostenne questa tesi nella introduzione alla prima edizione italiana dell’opera (distribuita da Baldini&Castoldi) avvenuta nel 1938, quando ormai la falsità dei Protocolli era stata definitivamente accertata, ma guarda caso anno di pubblicazione del cosiddetto Manifesto della razza (Manifesto degli scienziati razzisti) e di promulgazione delle leggi razziali fasciste. I Protocolli vennero pubblicati come numero speciale della Vita italiana diretta da Giovanni Preziosi, fervente nazionalista e antisemita, e poi fascista, nato in provincia di Avellino nel 1881 ed ex parroco a Napoli, suicidatosi a Milano, con la moglie, nel 1945. Preziosi (che ricopriva il ruolo di ispettore per la demografia e la razza nella RSI) era giunto a Milano dopo una rocambolesca fuga dal Garda a bordo della sua Aprilia (stipata di bauli, valigie e banconote, almeno 100 mila lire). Giunto alla periferia milanese, venne però intercettato da un gruppo di partigiani, ma riuscì a evitare la fucilazione. Non grazie a un “pass”, ma per l’intervento di un altro giovane repubblichino fuggitivo che, giunto a bordo di una seconda auto, fece fuoco sui partigiani, consentendo all’ex prete e signora di fuggire.