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Tir a giro

La protesta dei camionisti contro il Green Pass è stata un mezzo flop. Dietro nessuna regia occulta né un collegamento con i forconi. Il nuovo obbligo però si innesta sul disagio dovuto a condizioni di lavoro difficili e alla concorrenza straniera.

28 Settembre 2021 17:5828 Settembre 2021 18:12 Ulisse Spinnato Vega
perché la rabbia dei camionisti contro il Green Pass

Dopo il flop sui binari, ecco il buco nell’acqua in autostrada. A inizio mese i no vax avevano provato a bloccare i treni in stazione, ma la protesta era andata male e la montagna aveva partorito il classico topolino. Lunedì, invece, sarebbe dovuto scattare il piano dei tir anti-Green Pass per mandare in tilt il traffico stradale. L’idea era quella di marciare a 30 km orari con le quattro frecce accese per rallentare la circolazione. Tuttavia, come già accaduto nelle manifestazioni del sabato, è mancata la massa critica e la capacità di coordinarsi in modo efficace; pare, insomma, che non abbia funzionato il passaparola su Whatsapp o Telegram e i video pubblicati finanche su TikTok. Risultato? Disagi trascurabili sulla nostra rete viaria. Anche perché i no pass tra i camionisti si sono rivelati addirittura più complottisti dei no vax e no pass senza tir, visto che molti di loro diffidano persino dei sistemi di messaggistica, considerati una trappola intrusiva messa in campo dalle forze dell’ordine per schedarli e controllarli, e preferiscono comunicare soltanto con i vecchi e intramontabili baracchini sui canali CB.

La protesta dei camionisti contro il Green Pass si innesta un disagio che viene da lontano

Un addetto ai lavori conferma a Tag43 che si tratta di un movimento spontaneo, senza regie occulte, alimentato da «qualche voce particolarmente farneticante che utilizza espressioni assurde, additando i lavoratori che rispettano le regole quali schiavi o servi del potere». Fanno capolino sigle tipo “no global 100 per cento” oppure “fascia rossa”, ma come sempre accade frange di estrema sinistra si saldano a gruppi di estrema destra e comunque appare forzato cercare connotazioni ideologiche in un fenomeno che non ne ha. La protesta contro “la dittatura sanitaria” e il certificato verde, infatti, si ispira largamente a quanto sta accadendo in Australia, ma esaspera in realtà un disagio diffuso che viene da lontano e che riguarda problemi incancreniti negli anni come le condizioni di lavoro degli autisti, i turni di guida massacranti, lo stato delle nostre infrastrutture viarie, la concorrenza sleale che viene soprattutto dall’Est Europa. Una situazione nella quale, adesso, il Green Pass si innesta e diviene per i più esagitati un ulteriore, intollerabile obbligo, la goccia che fa traboccare il vaso.

I non vaccinati del settore oscillano tra le 20 e le 35 mila unità

Non pare ci sia un fil rouge diretto che lega le rimostranze no pass al vecchio movimento dei forconi, ma «si tratta di quel malcontento lì», spiega la fonte. Un altro addetto ai lavori che chiede l’anonimato invece chiosa: «Nel Nord Est abbiamo il contesto potenzialmente più delicato: da quelle parti le aziende hanno assunto molti autisti stranieri e c’è un humus in cui più facilmente la protesta può attecchire». Secondo le stime, comunque, i non vaccinati nel settore dovrebbero oscillare tra le 20 e le 35 mila unità.

Green Pass: i motivi della protesta dei camionisti
Sergio Lo Monte, segretario nazionale di Confartigianato Trasporti.

La posizione di Confartigianato Trasporti sull’obbligo del certificato verde

In ogni caso, l’impatto finora è stato del tutto marginale, benché la mobilitazione potrebbe in teoria continuare per l’intera settimana in corso. Da Anita Confindustria e da Confartigianato Trasporti riferiscono «zero segnalazioni» sulla protesta di ieri da parte delle aziende. E il segretario nazionale della sigla vicina alle piccole imprese, Sergio Lo Monte, spiega a Tag43: «Noi ovviamente non discutiamo l’obbligo di Green Pass previsto dal governo per tutti i lavoratori, ma è giusto che il datore controlli il proprio dipendente. Il tema però è complicato e vanno risolti subito due ordini di problemi. Il primo relativo all’omogeneità di trattamento nei confronti degli addetti stranieri, per cui è inconcepibile che ai vettori esteri non sia imposta la certificazione verde, creando disparità di trattamento rispetto ai lavoratori italiani e alimentando così di fatto la concorrenza sleale nel settore. Il secondo riguarda l’obbligo, per noi insostenibile, di esibire la carta verde a tutti i committenti presso i quali l’autista va a consegnare. Serve subito una deroga in tal senso». Anche perché, prosegue Lo Monte, «questa disposizione senza la specifica deroga, già concessa ad altri professionisti e lavoratori autonomi, rischia di generare un’ulteriore indisponibilità di manodopera che si aggiunge alle carenze croniche e ci porta verso uno scenario simile al Regno Unito, mettendo a rischio un servizio essenziale come il trasporto merci su gomma».

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