Individuare soluzioni per salvaguardare la biodiversità e proteggere il pianeta. È il fine di numerosi progetti, che cominciati nell’anno in corso, potrebbero portare i primi risultati già nel 2022. Dalla salvaguardia delle paludi al riciclo delle acque reflue, fino a ingegnosi programmi per ridurre in modo sensibile l’inquinamento da plastica, gli scienziati sembrano aver pensato davvero a tutto.
Banche di semi per salvare le praterie
Nel Nord America, diversi i centri di ricerca e università si sono messi a lavoro per perfezionare sistemi utili a preservare le piante e i fiori che popolano le praterie. Lo scorso anno, il Center of Excellence for Field Biology dell’Austin Peay State University ha ideato la Southeastern Grasslands Initiative (SGI), progetto che, tra gli altri, ha visto anche il lancio di una banca per la conservazione dei semi delle specie più vulnerabili e, di conseguenza, maggiormente esposte al rischio di estinzione. «Cerchiamo di preservare in larga parte gli esemplari più rari e meno considerati», ha spiegato al Guardian Cooper Breeden, responsabile della SGI. Da agosto del 2020, l’équipe ha raccolto oltre 35mila semi, dividendoli in 66 collezioni per 29 varietà differenti. Ma non è tutto. La fase successiva prevede la creazione di una mappa interattiva che permetta agli utenti di visualizzare le specie siano presenti nella banca e la loro provenienza: «Vogliamo far sì che il pubblico acceda facilmente ai dati che abbiamo raccolto», ha aggiunto Breeden, «Più attori coinvolgiamo nell’operazione, più aumenteranno le chance di raggiungere la meta finale».

Riutilizzare le acque reflue in maniera intelligente
Dagli Anni ’80, il consumo di acqua sul Pianeta è incrementato, anno per anno, dell’1 per cento e la domanda è destinata ad aumentare a un ritmo simile almeno fino al 2050, come confermato dal World Water Development Report pubblicato, nel 2019, dalle Nazioni Unite. Per questo, aree particolarmente esposte alla siccità come la California si sono rivolte a Israele o Singapore per chiedere indicazioni e consigli su come riciclare le acque reflue. Che, nella maggior parte dei casi, ritornano in circolo nell’ecosistema senza essere trattate o riutilizzate, contaminandolo. Per evitare che ciò accasa, Israele ha investito grossi capitali nella costruzione di strutture di desalinizzazione, recuperando circa il 90 per cento dell’acqua e adoperandola per l’irrigazione dei campi e sfruttandone il sottoprodotto come fertilizzante o generatore di biogas. Singapore, invece, punta a coprire, col riciclo, oltre il 55 per cento del suo fabbisogno idrico, attraverso il potenziamento del sistema fognario con tunnel che trasportano l’acqua in sistemi di bonifica rendendola pronta al riutilizzo o scaricandola, pulita, in mare.
Un piano per tutelare paludi e torbiere
Non sono glamour, ma le paludi sono una delle chiavi per mettere un punto alla crisi climatica. Sebbene coprano a malapena il 3 per cento della superficie terrestre, immagazzinano quasi 550 miliardi di tonnellate di carbonio, il doppio rispetto a boschi e foreste. Ecco perché salvarle dal degrado potrebbe aiutare a ridurre le emissioni di CO2 e creare importanti benefici in termini di biodiversità per fauna e flora. Il Great North Bog, uno dei principali progetti di ripristino in atto nel Regno Unito, mira a recuperare 7mila chilometri quadrati di torbiere di montagna, capaci di trattenere fino a 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica. «Stiamo lavorando duro per trovare partnership con altre organizzazioni europee che lavorino nel nostro settore», ha ribadito uno dei responsabili, «Salvare le paludi può diventare il preludio a un cambiamento urgente e necessario per l’ambiente».

Stop all’inquinamento da plastica
Gli addetti ai lavori hanno previsto che, nel prossimo ventennio, il volume di rifiuti di plastica negli oceani potrebbe triplicare, passando da 8 milioni di tonnellate a 29 nel 2040. Non esiste un espediente univoco per far fronte al problema, ma gli esperti stanno proponendo diverse strade da percorrere. Tra le 52 tecnologie raccolte nell’archivio del Nicholas Institute for Environmental Policy Solutions della Duke University spicca, in particolare, la Great Bubble Barrier, una composizione di tubi che pompano aria per creare una corrente in grado di portare in superficie tutti gli scarti. O, ancora, l’iniziativa Stow it, don’t throw it, promossa da giovani volontari che si occupano di trasformare i contenitori delle palline da tennis in contenitori per il riciclo delle lenze usate dai pescatori. «Il nostro studio vuole diventare uno strumento per combattere l’inquinamento e limitare il ciclo di vita della plastica. Soprattutto nei mari e nei fiumi», ha dichiarato la dottoressa Zoie Diana, tra i dottorandi a lavoro sull’inventario.
A solution to plastic waste entering our seas and oceans?
The Great Bubble Barrier channels rubbish to the side of the Westerdok canal in Amsterdam where it can be retrieved. Tests have shown it can divert more than 80% of flotsam.#Plastic #Oceans https://t.co/Nn7LHON01t pic.twitter.com/NPinx7sZlY
— Paul Eastwood (@pauleastwd) November 8, 2019
Armarsi contro le specie invasive
A oggi, sono almeno 107 gli uccelli, i rettili e i mammiferi che hanno beneficiato dell’eradicazione delle specie animali invasive sulle isole. La Nuova Zelanda, in prima linea in questa battaglia, sta portando avanti il suo Predator Free 2050 Plan, un piano che, tra battute di caccia, trappole, veleni e tecnologie, si impegna a ridurre al minimo la presenza di ermellini, opossum e topi. Oltre a questo, sono stati predisposi anche recinti come quello utile a tenere lontani i predatori dall’habitat naturale della Brachaspis Robustus, una cavalletta tipica della zona e ad alto rischio di estinzione. «Vogliamo restituire alle foreste, alle città, alle coste, tutti i pipistrelli, i volatili, i rettili che hanno perso a causa di altre specie aggressive e distruttive». I risultati non hanno tardato ad arrivare: nell’ultimo quinquennio, infatti, la concentrazione di uccelli nativi come il kea e il kākāriki è sensibilmente aumentata, ritornando ai livelli di un tempo.
An encouraging sign for New Zealand's bold predator-free 2050 mission! Native bird numbers have doubled in South Westland after 20 years of DoC predator control projects, with tītitipounamu, mohua and pīpipi among species that are benefitting https://t.co/uST1eEQXJv pic.twitter.com/QuZAt2fdGo
— WWF New Zealand (@WWFNewZealand) May 27, 2018