La Festa del Lavoro. Una celebrazione che in Italia attira sempre più l’attenzione sui diritti, sul contrasto alla disoccupazione e sul graduale impoverimenti dei lavoratori. L’alfabeto di Tag43 può aiutare ad avere un quadro chiaro, tra parole-chiave e numeri ufficiali.
Sfide, problemi e numeri del lavoro in Italia
A come apprendistato. Sono almeno 640 mila, secondo i dati del ministero del Lavoro, gli apprendisti occupati e quelli formati in Italia solo nel 2020. Con l’ultima Legge di Bilancio è giunta una nuova spinta a questa modalità contrattuale: sono stati concessi sgravi fiscali pari al 100 per cento per le aziende che propongono questa formula.
B come Borghese. Nel senso di Alessandro, lo chef che ritiene sia normale lavorare gratuitamente, per formarsi, alimentando l’eterno dibattito sulle offerte di lavoro rifiutate dai giovani. Ma borghese anche in riferimento all’impoverimento della borghesia italiana, a causa della stagnazione dei salari. Nel 2020, in media, un dipendente percepisce novecento euro in meno a fine anno rispetto al 1990 (parametrando il costo della vita).
C come caporalato. Secondo la ricerca dell’Osservatorio Placido Rizzotto e della Caritas sono almeno 180 mila le vittime di caporalato in Italia. Il settore agricolo è quello in cui la piaga si reitera maggiormente. Tra le regioni più colpite ci sono Sicilia, Calabria e Puglia. Ma il fenomeno riguarda anche il Nord, coinvolgendo Veneto e Lombardia, e il centro, toccando Emilia-Romagna e Lazio.

D come disoccupazione. Il tasso di disoccupazione sta gradualmente scendendo nei mesi. A febbraio si attestava all’8,5 per cento, il dato migliore negli ultimi due anni. Tutto bene? Mica tanto. Questo avveniva prima dell’inizio della guerra in Ucraina, i cui effetti sul mondo del lavoro sono tutti da considerare.
E come esuberi. Una delle parole più abusate per parlare del taglio del personale nelle aziende in ristrutturazione. Difficile fare una stima di quanti siano effettivamente i lavoratori “in esubero” solo nelle ultime settimane. Uno dei casi emblematici riguarda la scelta di Pfizer a Catania, che aveva dichiarato 130 esuberi nella sede siciliana, prima di siglare un accordo con i sindacati.
F come finte. Come le migliaia di Partite Iva aperte per non stipulare un contratto. Si tratta di una vasta galassia di lavoratori che hanno un solo committente, per cui si impegnano per otto (e anche di più) ore al giorno, senza vedersi riconosciuto alcun diritto. Un sottobosco che resta difficile da stimare.
G come Gender Salary Gap. Un altro nodo politico da sciogliere per favorire la piena parità tra i generi. Secondo i calcoli ufficiali, la differenza dei salari degli uomini e delle donne è del 5,5 per cento. Una statistica tuttavia inficiata dalla grande disparità di occupazione maschile e femminile.

I come infortuni. Sul lavoro ci sono tanti dipendenti che continuano a subire troppi incidenti. «Le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Istituto tra gennaio e dicembre sono state 555.236 (+0,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020)», ha riferito l’Inail. La dinamica territoriale diverge da zona in zona. «Emerge una diminuzione delle denunce soltanto nel Nord-Ovest (-9,2 per cento), al contrario del Nord-Est (+6,4 per cento), del Centro (+5,2 per cento), delle Isole (+4,8 per cento) e del Sud (+0,1 per cento)», aggiunge l’istituto.
L come laureati. Nel 2020 almeno sei neo-laureati su 10 si sono dichiarati soddisfatti del percorso di studi intrapreso per trovare un’occupazione. Il 40 per cento ha trovato un lavoro dopo aver conseguito la laurea, con una retribuzione media di circa 1.200 euro, mentre il 38 per cento ha optato per un’ulteriore percorso di formazione. Secondo la ricerca di Almalaurea, la soglia di soddisfazione cresce al 65 per cento tre anni dopo il conseguimento del titolo. E il salario medio sale a 1.400 euro.
M come morti bianche. È la definizione, ipocrita, a cui si ricorre per definire quelli che sono i morti sui luoghi di lavoro. L’Inail ha riferito che, solo nel 2021, ci sono stati 1.221 incidenti letali sul posto di lavoro. Il calo è stato minimo in confronto all’anno precedente (-3,9 per cento).
N come Neet. I “Not in Employment, Education or Training”, Neet appunto, sono i ragazzi – di età compresa tra 15 e 34 anni – che non stanno né studiando né cercando un posto di lavoro. Nel 2021 hanno superato la soglia dei 3 milioni, il dato in media più alto in Europa: in pratica un giovane su quattro non è nemmeno alla ricerca di un’occupazione.

O come occupazione. Quella femminile, in Italia, resta ancora troppo bassa. Il trend, almeno, è quello di una lieve ripresa del 2021, dopo che nel 2020 il tasso di occupazione era calato sotto il 20 per cento. A fine dello scorso anno si è attestato al 50,5 per cento.
P come precariato. I precari “ufficiali” sono 1,3 milioni, secondo i recenti dati dell’Inps. In questa categoria, definita “lavoratori parasubordinati” e suddivisa tra collaboratori e professionisti, rientrano tutti i lavoratori che fanno riferimento alla Gestione Separata (non quindi solo i collaboratori coordinati e continuativi o a progetto). Dal computo sono pertanto si escludono i titoli di Partita Iva, ma anche chi ha sottoscritto un contratto a tempo determinato o stagionale.
Q come quattordicesima. Più che una voce del mondo del lavoro italiano, è oggi un miraggio per milioni di persone. In totale, compresi i pensionati, spetta a 10 milioni di cittadini. Una quota che inesorabilmente cala.
R come Reddito di cittadinanza. Nel 2021 il sussidio, tanto discusso dalla politica, è arrivato a 1,8 milioni di nuclei per un totale di poco meno di 4 milioni di persone interessate. Nel primo trimestre del 2022, invece, i nuclei sono 1,5 milioni e le persone 3,3 milioni. «L’importo medio mensile è passato da 492 euro erogati nell’anno 2019 a 559 euro erogatinei primi mesi del 2022», riporta una nota dell’Inps.
S come salario minimo. È la grande battaglia politica. L’Italia non ha ancora un salario minimo per ogni ora di lavoro, mentre tutti gli altri Paesi europei lo stanno inserendo nel proprio ordinamento, come la Spagna. Ci sta provando il Movimento 5 stelle a fissare, per legge, la paga oraria in almeno 8 euro all’ora. Ma l’approvazione della legge è ancora lontana.
T come tavoli aperti. L’ultimo dato, risalente al dicembre 2021, parla di 69 tavoli di crisi ancora aperti al ministero dello Sviluppo economico. Una riduzione rispetto agli 87 di agosto.
U come unità. Quella sindacale che resta tuttora una chimera. Anzi il solco tra le principali sigle, Cgil, Cisl e Uil, sembra sempre più profondo.

V come violenza. «Sono un milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro». L’ultimo rapporto dell’Istat descrive il quadro delle violenza subite dalle donne al lavoro. «Rappresentano – spiega l’istituto di statistica – l’8,9 per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. Nei tre anni precedenti all’indagine, ovvero fra il 2013 e il 2016, hanno subito questi episodi oltre 425 mila donne (il 2,7 per cento).
Z. È la lettera che ormai evoca la guerra di Putin in Ucraina. Una lettera che, inevitabilmente, sta avendo, e ancora di più ne avrà, ripercussioni sul mondo del lavoro, non solo italiano ma globale.