Se doveva essere uno spunto per una seria discussione su utilizzo del contante, evasione fiscale e libertà finanziaria del cittadino, le aspettative sono state disattese. Il dibattito è finito presto in caciara, tra «rompipalle» che vogliono pagare 2 euro di caffè con la carta di credito, esercenti che «sotto una certa soglia ci smenano invece e di guadagnarci», politici che «adorano» andare a prelevare al bancomat e «il commerciante che si alza alle 6 del mattino» che «un minimo di guadagno sulla transizione dovrebbe averlo». Copyright tutto di Matteo Salvini, che di mestiere dovrebbe fare il ministro per le Infrastrutture ma è molto loquace quando si parla di misure economiche contenute nella manovra del centrodestra. In questo caso il tema caldo è quello dell’eliminazione delle multe per chi rifiuta i pagamenti digitali fino alla cifra di 60 euro, anche se la premier Giorgia Meloni si è già detta pronta a rivedere quell’asticella. Ma al di là di propaganda e qualunquismo, i negozianti che rifiutano il Pos lo fanno davvero perché soffocati dalle commissioni bancarie o perché così non sono costretti a dichiarare, vista la tracciabilità dei pagamenti digitali?
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Salvini: "Ognuno deve essere libero di pagare come vuole quello che vuole"
Avvertitelo che sulle transazioni fino a 60 euro è esattamente quello che succede adesso, libertà che lui vuole limitarepic.twitter.com/2g3BSIuQNI
— Pietro Salvatori (@PietroSalvatori) December 5, 2022
Il costo delle commissioni è azzerato sotto una certa soglia, di solito 10 euro
I dati dicono che le commissioni variano dallo 0,9 all’1,9 per cento. Mai sopra il 2, insomma. Quindi si può dire che il costo medio si aggiri intorno all’1,50 per cento. Che, tradotto, significa che su una transazione di 50 euro il commerciante paga 75 centesimi. Per non parlare del fatto che diversi operatori offrono sconti per i piccoli pagamenti, mentre il costo delle commissioni è proprio azzerato sotto una certa soglia, di solito 10 euro. Quindi la «rottura di palle» ipotizzata da Salvini già decade. Il sistema più economico è considerato quello di Satispay, che non prevede apparecchiature, ma solo la necessità di avere una app gratuita sul proprio smartphone: la proposta è di zero commissioni sui pagamenti sotto i 10 euro e un prelievo di 20 centesimi per ogni cifra superiore. Il Pos di Nexi costa da 14 a 99 euro, non è previsto un canone mensile e le commissioni vanno da 0 (su piccoli importi) all’1,89 cento. Il costo di Sum up è dell’1,85 per cento senza nessun canone né costi di attivazione.

Credito d’imposta del 30 per cento sotto i 400 mila euro di ricavi
Altri esempi? Il Pos mobile di Banca Intesa fa pagare agli esercenti l’1,8 per cento sulle transazioni, con un costo di attivazione di 60 euro e niente canoni mensile. Tra l’altro proprio Intesa ha detto che per tutto il 2023 saranno azzerate le commissioni sui micropagamenti fino a 15 euro. Unicredit invece propone il Pos a un canone mensile di 2,80 euro e una commissione dello 0,9 per cento sul pagamento. E nessun costo di attivazione. Banca Sella applica una commissione dello 0,95 per cento sui circuiti internazionali, incluse carte business, e dello 0,45 per cento su PagoBancomat. Poste Italiane permette di avere una commissione fissa sul transato pari all’1,5 per cento, oltre a un costo del dispositivo di 79 euro. Infine: per chi ha ricavi inferiori ai 400 mila euro l’anno si può richiedere un credito d’imposta del 30 per cento sulle commissioni legate ai pagamenti elettronici. Tutta questa retorica del «regalo alle banche» e dell’esercente che addirittura «ci smena» è dunque giustificata?