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Tiro Emiro

Il caso Portogallo e le grandi manovre sul Mondiale 2030

Il governo portoghese ha preso le distanze dal Qatar sul tema dei diritti civili. Rischiando di perdere il voto dell’area araba per la candidatura come Paese ospitante del Mondiale 2030. Così entra in gioco l’Arabia Saudita. Ma con le edizioni extra large a 48 squadre l’organizzazione e gli equilibri cambieranno.

3 Dicembre 2022 17:20 Pippo Russo
Il caso Portogallo e le grandi manovre sul Mondiale 2030

Grandi manovre con intoppi inattesi. È una curiosa storia quella raccontata dal quotidiano sportivo portoghese O Jogo nei giorni scorsi. Vi si riferiva dell’imbarazzo in atto e del possibile scontro sotterraneo nei rapporti fra i leader politici e le istituzioni calcistiche nazionali. Questioni di differenti atteggiamenti nei confronti del tema che ha spaccato l’intero fronte calcistico globale a margine del Mondiale di Qatar 2022: l’atteggiamento da tenere sul tema delle violazioni dei diritti e delle libertà civili commesse nell’emirato. Le divergenze di vedute hanno motivi diversi. Certamente è in ballo la questione del ruolo che il calcio deve tenere rispetto a questioni politiche di estrema rilevanza. Ma c’è anche un motivo più sostanziale, attorno al quale balla un’occasione storica: l’organizzazione del Mondiale 2030. Il Portogallo può permettersi di assumere pubbliche posizioni che rischiano di alienargli il voto del Qatar e di altre autocrazie arabe quando sarà il momento di scegliere la candidatura migliore? Intorno a questo interrogativo si apre uno scenario da analizzare per comprendere quali siano adesso i giochi grandi da condurre per aggiudicarsi una fase finale di un Mondiale di calcio e perché Qatar 2022 sarà l’ultimo Mondiale ospitato secondo una formula tradizionale incentrata sulla figura dello Stato-nazione. Da qui in poi scatta l’epoca dei Mondiali che sceglieranno formule territoriali in linea con le ibridazioni prodotte dalle logiche e dalla cultura della globalizzazione.

Il caso Portogallo e le grandi manovre sul Mondiale 2030
Cristiano Ronaldo al Mondiale 2022 in Qatar. (Getty)

I Mondiali extralarge: per volontà di Infantino si passa a 48 squadre

L’edizione qatariota sarà l’ultima giocata con la formula delle 32 squadre. Dalla prossima si cambia perché sarà la prima a 48 squadre, ciò che dà corso al più esagerato allargamento dei ranghi nella storia dei Mondiali di calcio. I precedenti aumenti di nazionali partecipanti erano avvenuti al ritmo di otto per volta. Fino all’edizione di Argentina 1978 le finaliste erano 16, diventate 24 a partire da Spagna 1982 (aumento del 50 per cento) e 32 a partire da Francia 98 (aumento di un terzo). Per volontà del presidente Fifa, Gianni Infantino, è giunto un aumento che in un primo tempo avrebbe dovuto portare il plotone a 40 squadre (dunque con aumento ancora una volta di 8 unità e su per una quota del 25 per cento), salvo poi compiere l’azzardo: 48 squadre, cioè 16 nuovi posti in un colpo solo e aumento del 50 per cento.

Il caso Portogallo e le grandi manovre sul Mondiale 2030
Gianni Infantino con Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani. (Getty)

Gli effetti inflattivi di una così esagerata estensione dei ranghi saranno tutti da misurare. Sarà infatti da dimostrare che l’audience globale sia disposta a reggere una competizione così gigantesca, e inoltre si avrà il sicuro effetto di abbassare la qualità a causa dell’eccessivo aumento della quantità. C’è però una conseguenza già accertata di questo esagerato ampliamento dei ranghi: da qui in avanti sarà impossibile, per un singolo Paese, organizzare una fase finale dei Mondiali. Il peso sarebbe schiacciante, il disastro economico e organizzativo pressoché assicurato. Era già un azzardo parecchio marcato ospitare un Mondiale a 32 squadre, tanto più se a farlo è un Paese dalle dimensioni di una media regione italiana qual è il Qatar. Con la formula a 48 squadre diventa proibitivo. E una dimostrazione di ciò viene dalla prossima edizione del Mondiale, ospitata in cooperazione da tre Paesi che in epoca di Mondiali a 32 squadre avrebbero potuto ospitarli senza ricorrere alla formula della condivisione: Canada, Usa (che ospitano i Mondiali per la seconda volta, dopo l’edizione del 1994) e Messico (che è il primo a toccare tre edizioni ospitate, dopo quelle del 1970 e del 1986).

Già nel 2026 l’edizione occuperà tutto il Nord America

Di fatto siamo entrati nell’era dei Mondiali continentali, dato che l’edizione del 2026 occupa l’intera area del Nord America. Né, in termini di formule territoriali, le novità si fermano qui. La cultura della globalizzazione determina infatti una situazione in cui le fedeltà territoriali si allentano e gli stessi Stati-nazione si predispongono a cercare alleanze innovative pur di cogliere opportunità che non sarebbero alla loro portata se provassero a coglierle da soli. È soprattutto in conseguenza di questo nuovo stato delle cose che si afferma la diversa modalità di costruire le candidature in associazione per ospitare una fase finale di una grande manifestazione calcistica. La candidatura in associazione era stata fin qui una formula di compromesso per accontentare le pretese di due Paesi che non avrebbero accettato di perdere la corsa alla candidatura in favore dell’altro (come fu nel caso del Mondiale di Corea del Sud e Giappone del 2002), o per consegnare la chance a due Paesi di piccola taglia (Europeo di Austria e Svizzera 2008), o per facilitare l’opportunità a due economie emergenti dell’Est Europa (Europeo di Polonia e Ucraina 2012). Ma si era sempre e comunque trattato di candidature condivise che riguardavano Paesi confinanti, e lo stesso vale nel caso dei tre colossi nordamericani che organizzeranno il Mondiale del 2026. Invece ciò che adesso si muove come tendenza fa intravedere un’evoluzione di tipo diverso, con prospettiva di assemblaggi territoriali inattesi e pure un tantino spericolati.

Le posizioni del governo portoghese imbarazzano la sua federazione

E qui si torna al piccolo psicodramma portoghese. La nazionale lusitana sta viaggiando bene nel Mondiale qatariota, ha conquistato la qualificazione agli ottavi di finale con un turno di anticipo e spera che questa sia la volta buona per vincere la Coppa del mondo. Ma intanto i suoi dirigenti sono in imbarazzo a causa delle prese di posizione esternate dal presidente della repubblica Marcelo Rebelo de Sousa e dal primo ministro, il socialista António Costa. Il capo dello Stato ha raggiunto la nazionale in Qatar ma si è affrettato a precisare che la sua presenza nell’emirato ha il solo scopo di sostenere la squadra e non significa certo sostegno al governo qatariota. Una precisazione resa necessaria ancora una volta dall’agenda sui diritti civili che continua a essere al centro della manifestazione. E sulla medesima linea del presidente della repubblica si è espresso il primo ministro, che per di più soltanto alla vigilia della terza partita della nazionale (venerdì contro la Corea del Sud) si è determinato a volare in Qatar.

Il caso Portogallo e le grandi manovre sul Mondiale 2030
Il primo ministro portoghese António Costa. (Getty)

Tutto ciò ha messo sulle spine la Federcalcio portoghese (Fpf), a partire dal presidente Fernando Gomes. C’è in ballo la candidatura per il Mondiale 2030 e la sfida si deciderà come sempre all’ultimo voto. Dunque sarebbe il caso di non alienarsi i favori del Qatar, che nel mondo del calcio globale ha saputo ritagliarsi un peso rilevante e ha anche visto crescere i margini di manovra nel mondo arabo. Emerge dunque e per l’ennesima volta un atteggiamento di realpolitik, con la predisposizione a sacrificare i diritti in nome dell’opportunità sportiva, o del grande affare, o di entrambi. Ma c’è anche dell’altro, e pure un questo caso entra in ballo una robusta dose di cinismo. Il Portogallo lavora infatti ormai da tempo a una candidatura congiunta con la Spagna, ciò che avrebbe conferito un’impronta iberica alla candidatura stessa. Ma giusto nelle scorse settimane è stata architettata la mossa che potrebbe sparigliare gli equilibri: l’inserimento dell’Ucraina nella squadra della candidatura. Una mossa cinica, si diceva: perché chi mai, in questa fase storica, voterebbe spensieratamente contro una candidatura che prevede la partecipazione dell’Ucraina? Ma al di là di questa considerazione spicca una conseguenza evidente: davanti a un mix del genere salta l’elemento della prossimità territoriale, della candidatura da regione sub-continentale. L’Ucraina sta da tutt’altra parte d’Europa, ciò che renderebbe il Mondiale una scommessa azzardata in termini logistici. Ma in prospettiva quello ibero-ucraino non è nemmeno l’unico esperimento di assemblaggio territoriale, poiché l’altra candidatura si spinge pure oltre in questo ardimento. E in questo caso si tratta di una candidatura forte: quella dell’Arabia Saudita.

Tre continenti sotto una corona: il piano del “Rinascimento saudita”

Delle ambizioni di espansionismo sportivo alimentate dalla monarchia saudita abbiamo detto la scorsa settimana. E queste ambizioni rientrano nel quadro delle grandi manovre per il “Rinascimento saudita” che vorrebbero raggiungere l’apoteosi attraendo tre eventi di straordinaria portata globale: l’Olimpiade estiva di annata da precisare (e chissà come diamine sarà possibile gareggiare d’estate a Ryad e dintorni), e l’Expo e il Mondiale di calcio da tenere entrambi nel 2030. Sarebbe un all-in da lasciare il segno per tutto il resto del XXI secolo, ma ci sarebbe anche un ostacolo da aggirare per avere assegnati il Mondiale di calcio.

Il caso Portogallo e le grandi manovre sul Mondiale 2030
Tifosi dell’Arabia Saudita. (Getty)

Secondo il regolamento della Fifa un continente non può tornare a ospitare un’edizione dei Mondiali prima che almeno altre due edizioni vengano celebrate in altri continenti. E poiché l’Asia sta ospitando un’edizione giusto in questi giorni, per i sauditi non se ne riparlerebbe prima del 2034. Ma i sauditi vogliono subito l’opportunità, sicché ecco che si sono messi a caccia di possibili soci extra-asiatici. Nell’autunno del 2021 si era parlato di una candidatura congiunta con l’Italia, subito smentita dalla Figc che peraltro punta a ottenere l’Europeo del 2032. In realtà i sauditi stavano lavorando più di fino, confezionando una candidatura tri-continentale che comprende Egitto e Grecia. Praticamente è l’apoteosi dell’assemblaggio territoriale da globalizzazione, e certamente una formula che fa saltare gli equilibri di bilanciamento continentale costruiti dalla Fifa sul meccanismo degli Stati-nazione e del loro radicamento continentale. Un meccanismo ormai pronto a andare in archivio. Si è ufficialmente aperta l’epoca del configurazionismo territoriale, con assemblaggio di territori come se fossero pezzi di macchina allogeni. Ciò che conta è il funzionamento, l’integrabilità dei singoli pezzi e la loro utilità per raggiungere l’obiettivo. Ché tanto Qatar 2022 insegna che si può montare e smontare uno stadio intero utilizzando i container, figurarsi un’entità territoriale pattizia che non esiste in natura e da utilizzare esclusivamente per un’occasione di mutua convenienza.

@pippoevai

Tag:Mondiale Qatar 2022
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