Da un lato i primi ministri di Repubblica Ceca, Slovenia e Polonia. dall’altro il premier ungherese. Il conflitto in Ucraina sta spaccando il fronte più radicale della destra europea. Il 15 marzo, in piena escalation militare, con le città distrutte dalle bombe, Petr Fiala, Janez Jansa e Mateusz Morawiecki si presentarono a Kyiv allo scopo di mostrare solidarietà all’Ucraina. Contemporaneamente, Viktor Orban, durante l’evento centrale della propria campagna elettorale, spiegava come Budapest nell’interesse nazionale dovesse rimanere fuori dalle dinamiche belliche. Una posizione su cui per molti influisce la chiamata alle urne del prossimo 3 aprile, quando nel Paese si voterà per il rinnovo del parlamento e la legge anti-LGBT+ in un contesto in cui l’opposizione coalizzata intorno alla figura di Péter Márki-Zay non è mai sembrata tanto vicina. Putin nel discorso pronunciato a Budapest da Orban non è stato nominato, sebbene sia apparsa chiara la volontà di non alimentare ulteriormente la contrapposizione con lo storico alleato.
Perché la guerra in Ucraina ha determinato la spaccatura nei rapporti tra Polonia e Ungheria
Le differenze di atteggiamento fotografano bene una crepa inimmaginabile fino a qualche mese fa. Era il tempo in cui polacchi e magiari si opponevano insieme a Bruxelles, che imponeva loro il rispetto dello stato di diritto e l’indipendenza della magistratura. Una battaglia di lunga data, ricorda El Pais, considerata a Ovest emblema della deriva autoritaria e illiberale dei governi di Varsavia e Budapest. Nei loro confronti sono stati aperti procedimenti per la violazione dell’articolo 7 del Trattato Ue. Questo prevede la sospensione del diritto di voto per chi non rispetta i valori fondamentali dell’Unione europea.

Solo lo scorso ottobre Orban, commentando la querelle giudiziaria con Bruxelles, definiva «la Polonia il miglior Paese d’Europa». Oggi, invece, i due Stati appiano lontani anni luce. Varsavia, intanto, è diventata simbolo dell’accoglienza, avendo aperto le frontiere a centinaia di migliaia di profughi in fuga dalla guerra. Ma è anche la più strenua sostenitrice di una linea dura contro Mosca e l’invasione di Kyiv. L’Ungheria contestualmente si è ritrovata progressivamente isolata, giudicata dagli stati membri eccessivamente tiepida nella condanna del guerra. In un simile contesto, si è calata la decisione di Polonia e Repubblica Ceca di non partecipare a una riunione dei ministri della Difesa del Gruppo di Visegrad, di cui fa parte anche la Slovacchia, in programma proprio a Budapest gli scorsi 30 e 31 marzo. Dal forfait è derivata la cancellazione del summit, in cui si sarebbe dovuta discutere la posizione ungherese verso la guerra. Una scelta determinata dall’atteggiamento pro Putin di Orban, ha spiegato senza mezzi termini il polacco Mariusz Błaszczak. Ancora più dura su Twitter la ministra del Petrolio ceca, Jana Cernochova: «Ho sempre sostenuto Visegrad e sono molto dispiaciuta che il petrolio russo a buon mercato sia più importante per i politici ungheresi del sangue ucraino».
Do Maďarska na setkání ministrů obrany V4 (st-čt) osobně nepojedu. Příští týden mají volby a není správné, abych se tam podílela na kampani. Vždycky jsem V4 podporovala a velmi mě mrzí, že pro maďarské politiky je teď levná ruská ropa důležitější než ukrajinská krev.#SlavaUkraini
— Jana Černochová (@jana_cernochova) March 25, 2022
Le elezioni in Ungheria e la diffidenza di Budapest verso l’Osce a guida polacca
Non aiuta la distensione nemmeno il post di Zoltan Kovacs, segretario di Stato per la comunicazione e le relazioni internazionali. Il quale domenica ha annunciato di aver affidato all’organizzazione ultraconservatrice Ordo Iuris il monitoraggio sulla regolarità delle prossime elezioni. Una mossa dettata dalla crescente preoccupazione per l’imparzialità dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, l’Osce, alla cui presidenza attualmente c’è la Polonia, nella persona del ministro degli Esteri Zbigniew Rau.
(1/2) Independent PL legal organization @OrdoIuris begins election monitoring mission to observe #hungaryelections. https://t.co/KgpSU6Acts
— Zoltan Kovacs (@zoltanspox) March 27, 2022
Eppure allo scoppio della guerra, Budapest aveva avallato il primo pacchetto di sanzioni Ue nei confronti di Mosca, come il rafforzamento della presenza Nato all’interno dei suoi confini. Salvo poi opporsi all’invio di armi in Ucraina, ma anche al transito delle stesse spedite a Kyiv da altri Paesi. Non solo, perché, mettendo le mani avanti, Orban ha affermato che di fronte a un’eventuale richiesta Nato non consentirà un invio di soldati oltreconfine. Questo «per preservare la pace, la sicurezza e tenere a bada i prezzi dell’energia». L’Ungheria, d’altronde, importa dalla Russia il 65 per cento del petrolio e l’85 per cento del gas. Un comportamento opposto rispetto a Varsavia, anch’essa dipendente dal Cremlino sul fronte energetico, ma disposta a cercare fonti alternative e tagliare i legami. Già a maggio per quanto riguarda il carbone ed entro l’anno per il petrolio, ha rivelato mercoledì Morawiecki. Che dal canto suo, temendo per l’integrità nazionale, spinge per l’invio di un contingente di pace dell’alleanza atlantica in Ucraina e addirittura si era offerto di mettere a disposizione degli Stati Uniti i caccia da inviare in Ucraina.

Il botta e risposta tra i politici ungheresi e polacchi
Fratture non celate dalle dichiarazioni: «Se mi chiedi se sono felice rispondo no. Adesso però bisogna aspettare le elezioni per capire l’evolversi della situazione», ha detto Kaczynski, leader del Pis, partito di estrema destra polacco, recentemente intervistato circa l’atteggiamento di Orban sulla guerra. Gli ha fatto eco Marcin Przydacz, vice ministro degli esteri per il quale la posizione dell’Ungheria è semplicemente «sbagliata», ma influenzata dalla chiamata alle urne. Affermazioni a cui ha replicato Kovacs: «Con tutto il rispetto accettiamo l’opinione degli altri, ma su questioni come energia, armi e soldati non possiamo scendere a compromessi. Ne andrebbe di mezzo l’interesse nazionale dell’Ungheria. Comprendiamo la posizione polacca, ma loro dovrebbero capire la nostra».

Per Aleks Szczerbiak, professore di scienze politiche all’Università del Sussex e specialista in politica polacca contemporanea, la frattura è solo temporanea: «La guerra ha oscurato tutto il resto. A lungo termine, quando i combattimenti finiranno, vedo molto probabile il riemergere dell’alleanza, perché il disaccordo con l’Ue non è scomparso, ha semplicemente cessato di essere priorità». Certo è che appena qualche mese fa sarebbe stato impensabile per il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, scegliere il Castello Reale di Varsavia per lanciare l’ennesimo discorso contro la Russia, quello in cui ha definito Putin «un macellaio». Il leader della Casa Bianca, infatti, in passato non aveva lesinato critiche al governo ultranazionalista polacco, per ovvie ragioni più vicino a Trump e nel 2020 fortemente restio a riconoscere la vittoria del candidato democratico, avvenuto solo a settimane di distanza dal risultato delle urne. Ma tutto questo, mai come ora, è un’altra storia.