La Corte costituzionale polacca ha stabilito, con una decisione senza precedenti, che norme e sentenze dell’Unione europea devono essere conformi al diritto della Polonia per poter essere applicate nel Paese. La Corte, centro da mesi del duro braccio di ferro tra Bruxelles e Varsavia, ha così compiuto un altro passo verso la Polexit legale, come è già stata chiamata da alcuni osservatori. Secondo i giudici supremi polacchi, le istituzioni Ue agiscono nel Paese «al di là del loro ambito e delle loro competenze». Giovedì 7 ottobre, giorno in cui è stata comunicata la decisione, la Commissione europea ha affermato che la posizione della Corte costituzionale solleva «serie preoccupazioni», sottolineando che «il diritto dell’Ue ha il primato su quello nazionale, comprese le disposizioni costituzionali».

Le sentenze della Corte di giustizia europea, ha ribadito la Commissione, sono «vincolanti per tutte le autorità degli Stati membri, compresi i tribunali nazionali», e ha aggiunto che «non esiterà a fare uso dei poteri stabiliti dai suoi trattati per salvaguardare l’applicazione e l’integrità del diritto comunitario». La superiorità del diritto europeo su quello nazionale è uno dei capisaldi su cui si fonda l’appartenenza di un Paese all’Unione europea. La decisione della Corte, secondo l’opposizione, mette a rischio non solo il futuro della Polonia tra i 27, ma anche la stessa stabilità dell’intera Ue. Dal 2017 Varsavia è governata dal partito di estrema destra PiS (Diritto e Giustizia) del Presidente Andrzej Duda, che ha operato una svolta semi-autoritaria nel Paese, mettendo di fatto sotto il suo controllo il potere giudiziario e approvando una serie di leggi ultra-conservatrici.

Sul tavolo delle trattative tra Bruxelles e Varsavia ci sono anche i 57 miliardi di euro che la Polonia dovrebbe ricevere per il recovery fund, e che l’Ue non ha ancora approvato. «La Commissione europea non può stare a guardare mentre il governo polacco smantella lo stato di diritto. I nostri soldi non possono finanziare governi che deridono e negano le regole concordate. Dichiarando che i trattati dell’Ue sono incompatibili con il diritto polacco, la Corte costituzionale illegittima in Polonia ha messo il Paese sulla strada della Polexit», ha dichiarato Jeroen Lenaers del Partito popolare europeo. Già il mese scorso Paolo Gentiloni, commissario europeo per l’economia, aveva affermato che lo scontro avrebbe potuto produrre «possibili conseguenze» sul recovery fund, una mossa che la Polonia ha giudicato «un ricatto».
Quanto a Varsavia, il portavoce del governo polacco Piotr Muller ha twittato che «Il primato del diritto costituzionale polacco sulle altre fonti del diritto deriva direttamente dalla costituzione della Repubblica di Polonia. Oggi (ancora una volta) questo è stato chiaramente confermato dalla Corte costituzionale». Muller ha aggiunto che la sentenza «non riguarda alcun settore in cui l’Ue ha le competenze delegate nei trattati» come le regole su concorrenza, commercio e protezione dei consumatori.
Le precedenti decisioni della Corte costituzionale polacca contro l’Ue
Già lo scorso 14 luglio la Corte costituzionale di Varsavia aveva ritenuto non vincolanti per gli Stati membri le ingiunzioni temporanee della Corte di giustizia dell’Unione europea. Una decisione già letta all’epoca come una mossa di Duda per allentare il potere dell’Ue sulla Polonia, e derivante dalla bocciatura netta che l’Ue aveva fatto sulla riforma della giustizia voluta proprio dal Capo di Stato. Una riforma che mina in maniera pressoché definitiva l’indipendenza della magistratura, perché sottopone i giudici al rischio di subire procedimenti disciplinari in caso di decisioni non gradite al governo. E una riforma che ha spinto un gruppo di magistrati, a questa contrari, a girare il Paese per insegnare la Costituzione e le basi dello stato di diritto.

I tribunali europei avevano infatti chiesto a Varsavia di eliminare dalla riforma la sezione disciplinare, attraverso la quale la Corte costituzionale può revocare l’immunità dei magistrati (esponendoli così a processi per il loro operato), o ridurne gli stipendi. Se, da un lato, il governo vedeva questa misura necessaria per combattere la corruzione, l’Unione europea l’ha sempre considerata un modo per azzerare l’indipendenza delle toghe e consentire all’esecutivo di controllare la magistratura, visto che i membri della sezione sarebbero stati scelti dal ministro della Giustizia. Le osservazioni della Cgue, però, sono state rispedite al mittente. In questo contesto, quindi, si inserisce la ben più grave decisione del 7 ottobre della Suprema corte di Varsavia.
L’Unione europea e l’incompatibilità del diritto polacco
In tema di diritti, il braccio di ferro tra la Ue e Varsavia è più acceso che mai. La Commissione europea, il 15 luglio, ha avviato una procedura d’infrazione contro Polonia e Ungheria per il mancato rispetto, da parte dei due Paesi, dei diritti della comunità Lgbtq+. Quanto proprio alla Polonia, la Commissione ritiene che le autorità locali non abbiano dato sufficienti spiegazioni sulla natura e sull’impatto delle cosiddette “zone Lgbt free“, adottate da diversi comuni e province esplicitamente ostili alla presunta “ideologia Lgbt”. Molti comuni, per paura di perdere i fondi europei, hanno tolto questa denominazione. Ma non solo. Il Parlamento europeo, nel novembre 2020, ha duramente condannato la legge – approvata sulla base di una sentenza della Corte costituzionale – con cui, l’anno scorso, la Polonia ha di fatto vietato l’aborto, rendendolo possibile solamente in caso di incesto, stupro o pericolo per la vita della madre. Non è più invece permesso in caso di malformazione del feto (come nel Paese avveniva nella quasi totalità dei casi) o per scelta.