Justyna Wydrzynska, celebre attivista polacca, è stata condannata a otto mesi di lavori socialmente utili per aver aiutato Aina, una connazionale, a procurarsi la pillola abortiva di nascosto dal marito, un uomo violento. La donna è stata quindi condannata in quello che è di fatto il primo processo in Europa per assistenza all’aborto. Rischiava fino a tre anni di carcere. Wydrzynska è la fondatrice di Abortion Dream Team, un’associazione che aiuta le donne a procurarsi il farmaco o ad andare all’estero. Per la legge polacca, non è illegittimo ingoiare la pillola mentre è da condannare chi è complice di chi la usa.

Wydrzynska racconta la storia di Aina
In un’intervista al Venerdì, Justyna Wydrzynska ha raccontato di aver interrotto la sua quarta gravidanza, dopo aver avuto tre figli da un uomo violento. Dopo quella pillola, ha deciso di fondare l’associazione e un giorno l’ha contattata Aina: «Il marito è un uomo violento e possessivo, che le controllava le telefonate, i messaggi, le email, so che la seguiva, che la soffocava. E io so cosa significa quando un uomo ti controlla così, quando è così paranoico. Ormai conosco l’effetto che fa sulle donne, so che è difficile per loro anche solo parlare. Un giorno lei è tornata a casa e si è trovata tre agenti che le urlavano contro: c’era il bambino di due anni lì e la donna voleva evitare che si spaventasse. Insomma ha consegnato il pacco alla polizia. Sul plico non c’era il mio indirizzo, ma all’interno le avevo scritto il mio numero di telefono, in caso le servisse aiuto. E dunque mi hanno rintracciata subito. E in ogni caso è un bene che abbiano denunciato me, che sono un’attivista. Perché almeno io so come proteggermi».
Le ong protestano contro il governo polacco
In favore dell’attivista si sono schiarate le ong Amnesty International e Human Rights Watch. Queste hanno chiesto di lasciar cadere le accuse e al ministro della Giustizia della Polonia di cancellare il processo: «Trascinare un’attivista dei diritti civili in tribunale con l’accusa di aiutare una vittima di violenze domestiche dimostra quanto il governo della Polonia sia ormai disposto a spingersi nella sua crociata per fermare le donne nell’esercizio dei loro diritti riproduttivi».
