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Il pacco di Varsavia

Il braccio di ferro con l’Ue sulla riforma della giustizia targata Duda; la deriva autoritaria del governo sui diritti civili e sull’aborto. Perché si parla sempre più insistentemente di Polexit.

15 Luglio 2021 18:07 Nicolò Delvecchio
Scontro Ue-Polonia, sale il rischio di "Polexit"

L’hanno già ribattezzata Polexit, e il rischio sembra più concreto che mai. Sullo sfondo dell’ennesimo scontro tra Unione europea e Polonia, la riforma della giustizia varata dal governo di Andrzej Duda (del partito della destra ultraconservatrice Diritto e Giustizia, PiS) che, di fatto, piccona lo stato di diritto nel Paese. Se per Bruxelles quella riforma è inaccettabile e contraria ai principi comunitari, per Varsavia si tratta di un affare interno su cui nessun’altra istituzione può interferire.

La Corte costituzionale polacca, il 14 luglio, ha stabilito che le ingiunzioni temporanee della Corte di giustizia dell’Unione europea, che può pronunciarsi su «i princìpi, i sistemi e le procedure» dei tribunali degli Stati membri, non sono vincolanti per i tribunali nazionali. La decisione, letta come una mossa dell’esecutivo di Duda per allentare il potere dell’Ue sulla Polonia, rappresenta una ferma presa di posizione anti-Bruxelles che ha solo un precedente nella storia: la Brexit. Non a caso l’attivista polacco per i diritti umani Adam Bodnar ha parlato di «una Polexit legale, che sta andando avanti passo dopo passo». Gli Stati membri, infatti, devono riconoscere la superiorità del diritto Ue su quello nazionale in alcuni campi, e quello della giustizia è uno di questi. Non farlo equivale a minare alla base la propria appartenenza all’Ue.

La bocciatura dell’Ue

Tempo poche ore e, il 15 luglio, i giudici di Lussemburgo hanno rincarato la dose, bocciando totalmente la riforma della giustizia polacca che, sostanzialmente, mina l’indipendenza della magistratura, dando la possibilità di punire, o addirittura rimuovere, i giudici contrari o critici nei confronti della maggioranza. «Visto il contesto generale delle grandi riforme che hanno recentemente interessato la magistratura polacca, con la creazione della camera disciplinare della Corte suprema, e a causa di una combinazione di elementi, questa nuova camera non offre tutte le garanzie di imparzialità e indipendenza e, in particolare, non è immune da influenze dirette o indirette dei poteri legislativo ed esecutivo polacco». A non convincere la Cgue anche il fatto che la nomina dei giudici della Corte suprema, compresi i membri della camera disciplinare, sia in mano a un organo «significativamente rivisto dai poteri esecutivo e legislativo, e la cui indipendenza può far sorgere legittimi dubbi».

#ECJ : The disciplinary regime for judges in #Poland is not compatible with #EUlaw #RuleOfLaw
👉https://t.co/ATb3CgbPxg pic.twitter.com/o2jDg9E93W

— EU Court of Justice (@EUCourtPress) July 15, 2021

L’Unione europea e la riforma della giustizia polacca

I giudici Ue, l’anno scorso, avevano chiesto alla Corte costituzionale polacca di eliminare la sua sezione disciplinare, un meccanismo introdotto dalla riforma targata PiS, creata appositamente per punire i giudici. Attraverso questa sezione, la Corte ha il potere di revocare l’immunità dei magistrati, esponendoli così a processi per il loro operato, o ridurne gli stipendi. Se, da un lato, il governo vedeva questa misura necessaria per combattere la corruzione, l’Unione europea l’ha sempre considerata un modo per azzerare l’indipendenza delle toghe e consentire all’esecutivo di controllare la magistratura, visto che i membri della sezione sarebbero stati scelti dal ministro della Giustizia. Le osservazioni della Cgue, però, sono state rispedite al mittente. A giorni, Varsavia dovrebbe anche pronunciarsi sulla superiorità o meno del diritto europeo su quello polacco: non dovesse riconoscerla, le possibilità che la Polonia esca dall’Ue (dopo esserci entrata solamente nel 2004) sarebbero molto concrete.

L’Unione europea e l’incompatibilità del diritto polacco

In tema di diritti, il braccio di ferro tra la Ue e Varsavia è più acceso che mai. La Commissione europea, il 15 luglio, ha avviato una procedura d’infrazione contro Polonia e Ungheria per il mancato rispetto, da parte dei due Paesi, dei diritti della comunità Lgbtq+. Quanto proprio alla Polonia, la Commissione ritiene che le autorità locali non abbiano dato sufficienti spiegazioni sulla natura e sull’impatto delle cosiddette “zone Lgbt free“, adottate da diversi comuni e province esplicitamente ostili alla presunta “ideologia Lgbt”. Ma non solo. Il Parlamento europeo, nel novembre 2020, ha duramente condannato la legge – approvata sulla base di una sentenza della Corte costituzionale – con cui, l’anno scorso, la Polonia ha di fatto vietato l’aborto, rendendolo possibile solamente in caso di incesto, stupro o pericolo per la vita della madre. Non è più invece permesso in caso di malformazione del feto (come nel Paese avveniva nella quasi totalità dei casi) o per scelta.

La lobby di Ordo Iuris dietro l’ideologia conservatrice del PiS

A sostenere il partito di governo in tutte le sue battaglie ultraconservatrici non c’è solamente una buona fetta della popolazione, ma anche la Ong Ordo Iuris. Formalmente, un’organizzazione fondata nel 2013 per promuovere «una cultura legale fondata sul rispetto per la dignità umana e i diritti», in realtà un’associazione che promuove tutti i temi della destra più radicale. È il lavoro di Ordo Iuris ad aver ispirato sindaci e governatori nella creazione delle zone “Lgbt free”. Ed è anche per la loro attività di lobbying che in Polonia, ora, è praticamente impossibile abortire. Sul loro sito, ad esempio, si trova addirittura un articolo contro il Ddl Zan, accusato di minacciare la libertà di espressione. In un altro, l’aborto viene definito «omicidio di feti», in un altro ancora viene supportata la decisione dell’Islanda di non registrare “due madri” relativamente ai documenti di un bambino «nato sulla base di un accordo commerciale» con una madre surrogata. La vicinanza tra PiS e Ordo Iuris, poi, è stata certificata dalla presenza del ministro della Cultura e di quello dell’Educazione all’inaugurazione del Collegio Intermarium, la nuova scuola di legge dell’Ong.

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