Chiunque abbia un animale domestico, conosce l’eccitazione istantanea che gli può provocare il rumore di scartocciamento di un pacchetto o la distratta pronuncia della parola “pappa”. Non c’è sonno che tenga quando scatta il riflesso pavloviano alle crocchette in arrivo: l’animale, cane o gatto che sia, si presenta subito, pronto a ricevere la dose di cui è dipendente. Cosa c’è in questi misteriosi bocconcini, che li rende così deliziosi? All’interrogativo ha provato a rispondere un ampio servizio della Bbc, che illumina diversi aspetti poco noti di questa materia.
Petfood: la rivoluzione di James Spratt
Per migliaia di anni, gli animali domestici sono stati nutriti per lo più con avanzi dello stesso cibo degli umani, o più spesso ci si aspettava che badassero a se stessi con quel che trovavano. In particolare, i gatti erano considerati animali di strada e raramente venivano nutriti. A rompere questa consuetudine è stato, nel 1860, James Spratt, un intraprendente venditore di parafulmini dello stato americano dell’Ohio, che trovandosi sul molo di Liverpool, osservò dei cani che si litigavano delle gallette dure, del tipo di quelle fornite ai soldati e ai marinai. Spratt si pose il problema dell’alimentazione degli animali domestici e sviluppò la Meat Fibrine Dog Cake, un preparato simile a un biscotto di barbabietola rossa, verdure, cereali e manzo di dubbia origine, che pretendeva di soddisfare tutte le esigenze nutrizionali dei cani. Questa innovazione coincise, o forse accompagnò, una rivoluzione culturale nel modo in cui le persone vedevano i propri animali domestici: da semplici animali di utilità o parassiti, ad amati membri della famiglia da coccolare. Dopo aver pensato ai cani, l’imprenditore dell’Ohio si occupò anche dei gatti, vendendo alimenti specializzati con lo slogan «Spratt mantiene il gatto in ottima forma!». Da allora, è cominciato quel processo vorticoso che ha portato allo sviluppo dell’attuale petfood industry, un settore multimiliardario che investe molto nella ricerca sui “palatanti”, ingredienti che spingono i nostri animali a desiderare di mangiare i prodotti confezionati dall’industria. «Queste grandi aziende hanno dipartimenti enormi che sperimentano e producono cibi appetitosi», spiega Darren Logan, capo della ricerca della Mars Petcare. «Proprio come li produciamo per gli esseri umani, li produciamo anche per gli animali».
La formula perfetta della crocchetta
Oggi è possibile acquistare crocchette specifiche per quasi tutti i tipi di animali domestici, dalle rane ai piccoli marsupiali. Per quasi tutti, la formula è la stessa: una sorta di carboidrato di base, proteine e grassi assortiti, zuccheri, una fonte di fibre, antiossidanti, emulsionanti (che trattengono il grasso nel cibo), vitamine minerali e coloranti. Versioni più sofisticate possono contenere anche probiotici o stimolatori della digeribilità – come la cicoria, che viene spesso aggiunta al cibo per cani – così come enzimi, composti antiparassitari e minerali per prevenire il tartaro sui denti. D’altra parte, quello che occorre colpire negli animali non è tanto il gusto, quanto piuttosto l’olfatto, ed è appunto questo il senso principale su cui lavorano i produttori di petfood. Mentre i nasi umani contengono circa 50 milioni di recettori olfattivi, i gatti ne hanno 67 milioni, i conigli 100 milioni e i cani addirittura circa 220 milioni. La scarsa dotazione olfattiva degli esseri umani, a favore di quella del gusto, si ritiene sia frutto di un’evoluzione che favorisce la nostra dieta onnivora. Per gli animali, invece, il mondo è soprattutto un labirinto di tracce olfattive e gli odori che preferiscono sono spesso quelli più disgustosi per il nostro naso, come l’odore di letame, di calzini sudati e di vomito. O come la putrescina e la cadaverina, sostanze chimiche prodotte dalla carne in decomposizione che ha un odore orribile per noi: i gatti invece lo adorano. Spesso queste sostanze vengono aggiunte al loro cibo sia come estratti di frattaglie che come additivi prodotti in laboratorio. Il problema, per l’industria del petfood, è quindi quello di mettere a punto un cibo che sia abbastanza disgustoso perché l’animale lo mangi, ma non così tanto da scoraggiare i proprietari dal comprarlo.
Animali domestici a rischio obesità e la sostenibilità della produzione
Sul versante del gusto, ci sono sapori che non si trovano mai negli alimenti per animali domestici. La maggior parte dei carnivori selvatici, per esempio, non ha i recettori per lo zucchero o i carboidrati. Quindi, è molto improbabile sorprendere il proprio gatto a rubare gelati o ciambelle. Il fatto è che, a differenza dei cani, che vivonocon gli umani da almeno 40 mila anni, i gatti come animali domestici esistono solo da poco più di 4 mila anni. Perciò, a differenza dei cani, semplicemente non sarebbero stati con noi abbastanza a lungo da aver acquisito la capacità di gustare lo zucchero. Mentre l’industria del petfood, detentrice dei segreti del palato di cani e gatti, prospera senza tregua, si affacciano però anche alcuni problemi. In primo luogo quello dell’obesità degli animali, con le conseguenze sulla loro salute e sulle spese veterinarie. In secondo luogo, il tema della sostenibilità della produzione: nel 2009, due scienziati neozelandesi hanno stimato che il danno ambientale derivante dal mantenere un cane, equivale all’incirca al doppio di quello di avere un Suv di medie dimensioni. Ma anche su questo, l’industria del petfood guarda lontano e sono già sul mercato nuovi alimenti per animali a base di insetti.