Gli antichi salveranno il futuro. Non è un rebus o un indovinello. E non occorre disturbare Indiana Jones o Robert Langdon. Si tratta di ciò che sta succedendo in Perù, dove una tecnologia preincaica potrebbe risolvere la carenza idrica della nazione. È quanto emerge da un recente reportage della Bbc che spiega come l’emergenza ambientale e il cambiamento climatico rischino di mettere in ginocchio lo Stato e gli abitanti delle Ande. Il Perù è infatti tra i Paesi con più insicurezza idrica al mondo. La capitale Lima, dove vive un terzo della popolazione totale, si estende su una pianura desertica e riceve solo 13 mm di pioggia l’anno. Per sostenere il fabbisogno idrico dei suoi quasi 10 milioni di abitanti è così costretta a ricorrere ai tre fiumi Chillón, Rímac e Lurín. I cittadini della capitale non sono i soli a dipendere dall’acqua che arriva dalle montagne. Si stima che a livello mondiale il problema riguarderà entro il 2050 circa 1,5 miliardi di persone contro i 200 milioni degli Anni 60. In Perù però i ghiacciai si sono ormai sciolti e la stagione delle piogge si è ridotta a solo un paio di mesi l’anno. A oggi il servizio idrico di Lima gestito dalla Sedapal può rifornire i clienti solo per 21 ore al giorno, approvvigionamento che secondo Ivan Lucich, direttore esecutivo del regolatore nazionale dell’acqua Sunass, diminuirà ulteriormente nei prossimi anni. Un rapporto della Banca Mondiale del 2019 sul rischio di siccità in Perù ha concluso che le attuali strategie messe in atto – che prevedono il ricorso a dighe e bacini idrici – risulteranno inadeguate già a partire dal 2030. Ecco perché si sta pensando a ciò che alcuni chiamano “slow water” (acqua lenta), un approccio che non incide sull’ambiente ma sfrutta le sue caratteristiche.
La soluzione per il Perù e Lima potrebbe arrivare dal paesino di Huamantanga
La soluzione potrebbe arrivare dal piccolo centro di Huamantanga, un villaggio sugli altopiani a 3.400 metri di altitudine a nord di Lima. I suoi abitanti – i comuneros membri di un collettivo agricolo – usano canali d’acqua, le amunas (termine che in lingua quechua significa “trattenere”) per deviare durante la stagione umida i flussi dai torrenti di montagna e portarli verso bacini naturali. La strategia, inventata dall’antico popolo degli Huari che popolava queste terre tra VI e il XIII secolo, è praticata non solo a Huamantanga, ma anche in altri villaggi. Fin dall’antichità i contadini riescono a prevedere con certezza dove e quando l’acqua che si muove nel sottosuolo lentamente tornerà in superficie dopo mesi, in modo da utilizzarla durante i mesi di siccità. Una volta raccolta nei bacini, l’acqua viene utilizzata per irrigare i campi. Dato che gran parte dell’acqua utilizzata torna ai fiumi che alimentano Lima, riparando le amunas abbandonate si potrebbe aumentare l’approvvigionamento idrico della città durante la stagione secca. Ma non è tutto. Il reportage della Bbc spiega come gli altopiani della regione siano ricchi di bofedales, ossia torbiere composte da piante capaci di prosperare sotto il sole intenso, con i venti rigidi, il gelo e la neve stagionale. Un dato certifica più di altri l’importanza di questi ecosistemi: sebbene coprano solo il 3% della superficie terrestre, immagazzinano il 10% di tutta l’acqua dolce. Nella regione delle Ande le torbiere rallentano il deflusso dell’acqua montana, prevenendo inondazioni e smottamenti. Infine poiché rimangono verdi tutto l’anno, le torbiere sono anche fondamentali per la biodiversità. Riserve d’acqua e sostegni naturali per il terreno che però vengono distrutte per ricavare la torba da vendere a Lima.