Medaglie da gustare
Il morso al metallo che un tempo serviva a verificarne l'autenticità, oggi è una delle pratiche più diffuse tra gli atleti in gara alle olimpiadi. A esortarli, anche in tempo di pandemia, sarebbero i fotografi alla ricerca dello scatto perfetto.
Le porgono agli atleti su un vassoio, per abbassare le probabilità di contagio, e poi i vincitori se le mettono in bocca, tirandosi giù la mascherina. Controsensi ai tempi del Covid-19, verrebbe da dire. Ma tant’è: mordere le medaglie d’oro (ma anche d’argento e di bronzo) è un rito a cui gli sportivi non rinuncerebbero per niente al mondo, figuriamoci a Tokyo. «Vogliamo ufficialmente confermare che le medaglie non sono commestibili», ha scherzato a tal proposito l’account ufficiale dei Giochi. Ma perché, appunto, gli atleti mordono le medaglie?
We just want to officially confirm that the #Tokyo2020 medals are not edible!
Our 🥇🥈🥉 medals are made from material recycled from electronic devices donated by the Japanese public.
So, you don’t have to bite them… but we know you still will 😛 #UnitedByEmotion
— #Tokyo2020 (@Tokyo2020) July 25, 2021
Mordere l’oro per verificarne l’autenticità
Quando i falsari abbondavano, mordere le monete era l’unico modo possibile per capire se fossero davvero d’oro. Trattandosi di un metallo morbido e malleabile, i denti avrebbero lasciato un’impronta: più profondo il segno, più sarebbe stato prezioso il metallo del conio. Questo metodo era usato in particolare per monete sottili, come i ducati e gli zecchini. Ma è stato adottato anche dai cercatori d’oro, i quali però spesso si imbattevano nella pirite, metallo conosciuto come oro degli stolti, costato gli incisivi a molte persone nel corso dei secoli.
La pratica si è così tramandata fino ad oggi, arrivando fino ai podi delle Olimpiadi. Come mai? Essenzialmente, per colpa (o merito) dei fotografi, alla ricerca dello scatto da copertina: l’atleta che morde la sua medaglia, meglio se d’oro. «È diventata una loro ossessione», ha detto alla CNN nel 2012 David Wallechinsky, membro dell’International Society of Olympic Historians: «Penso che lo vedano come uno scatto iconico, come qualcosa che possono vendere. Non credo che gli atleti lo farebbero da soli». Opinione suffragata dalla nuotatrice statunitense Summer Sanders, tre medaglie a Barcellona ’92: «So che vi chiedete perché lo facciamo. Francamente non è una nostra idea. Sono i giornalisti, o più spesso i fotografi a chiedercelo con insistenza. E noi accettiamo». E c’è chi esagera: nel 2010 lo slittinista tedesco David Möller, argento a Vancouver, mordendo la sua medaglia si è rotto un dente in diretta tv.
Tokyo 2020, per l’occasione medaglie green
Al di là del rituale e delle richieste dei fotografi, non ci sarebbe bisogno di mordere le medaglie perché si sa benissimo di cosa sono fatte. Le 5 mila medaglie destinate agli atleti di Tokyo 2020 sono state realizzate riciclando 80 mila tonnellate di scarti elettronici (tra cui 6,2 milioni di telefonini) donati dalla popolazione giapponese, raccolta che ha permesso di ottenere 32 chili di oro, 3.500 di argento e 2.200 di bronzo. Una scelta green, in linea con Giochi in cui gli atleti di questi Giochi dormono su letti di cartone. Progettate da Junichi Kawanishi, le medaglie hanno un diametro di 85 millimetri e sono spesse 12,1 millimetri: quelle destinate ai vincitori hanno 6 grammi di placcatura in oro su argento puro, metallo di cui sono interamente composte le medaglie per i secondi classificati. Gli atleti sul gradino più basso del podio ricevono invece una medaglia in lega di ottone rosso composta da rame al 95 per cento e zinco al 5 per cento. Per quanto riguarda il peso, si va dai 556 grammi ai 450 grammi. Sfortunatamente non commestibili.