Pd alla deriva: tutte le spaccature di un partito senza identità

Paola Alagia
11/11/2022

La grana delle Regionali in Lombardia, con la bomba Moratti, e in Lazio dove tra i mal di pancia si fa largo D'Amato. Le divergenze sull'autonomia. La questione femminile. L'ombra di scissioni e disimpegni. Le rivendicazioni dei giovani. Perché per il Nazareno arrivare indenne al Congresso non sarà una passeggiata.

Pd alla deriva: tutte le spaccature di un partito senza identità

“Ritenta, sarai più fortunato”. È lo slogan perfetto per descrivere l’aria che si respira ultimamente nel Pd. Un partito che, dalla campagna elettorale procede a tentoni. E che oggi decide di giocarsi la carta del vittimismo per uscire dall’angolo in cui si è ficcato da solo. Sono «tutti contro il Pd», recita il Letta-pensiero. L’ultima autoassoluzione l’ha vergata ieri proprio il segretario dimissionario in una lettera al Corsera. Un sussulto d’orgoglio (parola che ritorna ripetutamente nella missiva) che però suona come un canto del cigno. Troppo facile, infatti, scaricare le responsabilità su Giuseppe Conte, Carlo Calenda e Matteo Renzi che, a detta di Letta, ritengono «più redditizio» fare opposizione al Pd anziché al governo. Nessuna autocritica e nessuna capacità di capire perché il principale partito d’opposizione anziché catalizzare attorno a sé le altre forze di minoranza, risulti respingente e rischi di trasformarsi in una prateria per scorribande esterne. Proprio due giorni fa l’europarlamentare dem Giosi Ferrandino ha annunciato via Facebook il passaggio a Renew, il gruppo del Terzo Polo in Europa. Il suo j’accuse è netto: dalla giustizia al lavoro alla scuola, il Partito democratico non ha una linea, «ognuno ha la sua».

https://www.facebook.com/giosiferrandino/posts/pfbid0VGj9ySgsDpHLpfbzyZYSBeCvcjeEmcoWcAPFUdYL6As59HC9pA2cUtdCmt1GEBp9l

La grana delle Regionali e il ‘disimpegno’ di molti esponenti dem

La gravità del momento, poi, l’ha esplicitata senza giri di parole Dario Nardella, evocando la parola tabù. «Se noi non troviamo una base comune di valori tra posizioni diverse, possiamo anche rischiare una scissione», ha detto il sindaco di Firenze che potrebbe correre per la segreteria. Ecco, scissione. La slavina è partita con la grana delle Regionali in Lombardia e nel Lazio, dossier sui quali al momento il Nazareno è completamente in bambola tant’è che gioca di rimessa. Se non divorzio, “disimpegno”, si sussurra tra i dem. Un esponente di spicco del Pd e membro della direzione nazionale, infatti, con Tag43 la mette così: «Non credo ci sia il rischio di una scissione subito, ma un disimpegno di molti nella campagna elettorale sarebbe nelle cose. Prendiamo il caso Lazio», continua, «come fa un militante che guarda a sinistra a farla con Calenda e Renzi?». È vero che Renzi e Calenda hanno giocato d’anticipo. Ma è vero pure che il Nazareno non si è fatto trovare pronto. E così la candidatura in Lombardia di Letizia Moratti col Terzo Polo è esplosa come una bomba, spaccando il partito a metà come una mela. Enrico Letta ha dettato la linea: «Non c’è un solo motivo al mondo per cui il Pd debba candidare Letizia Moratti, ex ministra di Berlusconi ed ex assessora del leghista Fontana». Peccato che secondo un big come Luigi Zanda la carta Moratti sia un’occasione. Sulla stessa linea sono gli ex parlamentari Alessia MoraniAndrea Marucci. A mettere ancora più in crisi il Nazareno poi ci sono i gran rifiuti, da Carlo Cottarelli, che ha ritirato la sua candidatura, al pesante “no, grazie” di Giuliano Pisapia. Non che la matassa Lazio sia più facile da sbrogliare. Il partito pare aver trovato la quadra su Alessio D’Amato, assessore uscente alla Sanità della giunta Zingaretti tanto che ieri il segretario del Pd Lazio Bruno Astorre ha annunciato su Twitter di voler proporre il suo nome in direzione regionale come candidato unico, ma i mal di pancia restano. Si tratta infatti di un nome che da molti è visto come imposto dall’esterno essendo stato subito sostenuta dal Terzo polo. Bisognerà poi vedere se alla fine i dem convergeranno sulla candidatura unica o invece opteranno per le primarie.

 

Le due piazze della Pace

Paradossale poi che persino sulle manifestazioni per la pace del 5 novembre scorso, il Pd sia andato in ordine sparso. Un Enrico Letta abbastanza spaesato, oltre che contestato, ha scelto la difficile (per lui) piazza romana con il M5s rispetto all’iniziativa milanese promossa dal Terzo polo. L’ex ministro Guerini, invece, non ha optato per nessuna delle due piazze e si è limitato a cambiare l’immagine del suo profilo WhatsApp con una foto dell’Ucraina. D’altronde è sua la firma sui provvedimenti di invio di armi a Kyiv, ragiona chi ne apprezza la coerenza. Ma non manca chi, invece, mette in luce il messaggio tutto politico della sua scelta e cioè la contrarietà rispetto a una linea dem che non riesce a emanciparsi completamente dal Movimento. Un più salomonico Alessandro Alfieri, senatore di Base riformista, infine, ha partecipato a entrambe le iniziative perché, ha spiegato al Corsera, «abbiamo il dovere di gettare ponti».

L’autonomia spacca l’Italia tra Nord e Sud

Fin qui le partite calde. Ma a sfiancare il Pd sono anche macro-dilemmi. La faglia tra Nord-Sud, per esempio, non è affatto da sottovalutare. Con l’attivismo del ministro Roberto Calderoli sulla riforma dell’autonomia regionale, c’è da scommettere che si allargherà non appena il dossier entrerà nel vivo. È risaputo che il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, tra l’altro anche lui in predicato di candidarsi alla segreteria Pd, è tra i governatori favorevoli, seppure su una linea meno tranchant rispetto a quelle di Veneto e Lombardia. Proprio la tempistica, vista la concomitanza col congresso, gli impone però prudenza. Il regionalismo infatti non è proprio una materia che scalda il cuore del corpaccione dem. Non a caso dopo l’incontro a inizio mese col ministro leghista, dall’Emilia-Romagna hanno insistito sul coinvolgimento della Conferenza delle Regioni e del Parlamento. «Il pluralismo e le peculiarità si valorizzano solo in un quadro ordinato e unitario», ha sotolineato Davide Baruffi, sottosegretario alla presidenza della Giunta emiliano romagnola. Era bastato invece il semplice richiamo all’autonomia da parte del presidente della Camera Lorenzo Fontana nel suo discorso d’insediamento per scatenare le ire, al Sud, di un altro governatore dem, Vincenzo De Luca che ha definito la terza carica dello Stato addirittura un «troglodita». Seguito dal collega pugliese, Michele Emiliano.

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Stefano Bonaccini (Getty Images).

La questione femminile e le lotte tra le dem

Anche la scarsa rappresentanza femminile dopo il voto ha acceso un nuovo focolaio. Donne contro uomini, ma soprattutto donne contro donne. Nel mirino è finita innanzitutto Cecilia D’Elia, portavoce delle democratiche. Il 6 ottobre la Conferenza delle donne con un comunicato invocava un suo passo indietro. Nei giorni di elaborazione del lutto post-elettorale si è fatta sentire anche la non eletta Alessia Morani, membro della direzione del partito. «Cecilia D’Elia è la portavoce delle donne del Pd e durante la composizione delle liste la sua voce non l’ha sentita nessuno», ha attaccato. Prima del colpo ferale: «Chi ha responsabilità per quello che è accaduto si dimetta e non pensi di gestire da portavoce il percorso verso il prossimo congresso. Ecco, se si vuole davvero dare un segnale di diversità, la D’Elia si assuma la sua parte di responsabilità e faccia un passo indietro». Che esista un caso donne nel Partito democratico, infine, lo si comprende chiaramente dalle parole di Paola De Micheli, che si è ufficialmente candidata alla segreteria. Intervistata dal Corsera il 10 ottobre scorso, non ci ha girato intorno: «Siamo il partito che ha fatto più leggi a favore delle donne, ma poi le candidature a sindaco o a presidente di regione sono rarissime. E la colpa è anche della misoginia di alcune donne che, con un po’ di accidia, si sentono soddisfatte da un ruolo ancillare». Sempre parlando di donne e segreteria oggi scioglierà la sua riserva Elly Schlein. La neodeputata avrebbe dalla sua i lettiani e si sussurra anche i franceschiniani. L’ex ministro della Cultura starebbe addirittura lavorando a un ticket Schlein-Nardella. Si vedrà.

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Elly Schlein (da Facebook).

Le rivendicazioni degli under 40 di Coraggio Pd

E che dire dei giovani? Pure su questo fronte il partito naviga in acque agitate. Il 29 ottobre ha debuttato a Roma Coraggio Pd, l’assemblea di attivisti, amministratori e dirigenti dem under 40. Promotore dell’iniziativa è Brando Benifei, capodelegazione del Pd in Europa. Ma insieme a lui ci sono anche Rachele Scarpa, la più giovane eletta della XIX legislatura, e il consigliere capitolino Lorenzo Marinone. Guai a chiamarli corrente, hanno messo subito in chiaro. Ma sono altrettanto nitide le loro rivendicazioni. A cominciare da un ribaltamento della «prima fila del partito», come ha spiegato Benifei: «Non basta cambiare il segretario», ha detto recentemente alla Dire, «serve riadattare l’identità del Pd e avere un nuovo gruppo dirigente. Noi vogliamo una nuova prima fila che ci rappresenti perché quella che c’è oggi, per vari motivi, non ha più la credibilità per rappresentarci». Tra i giovani poi va annoverato anche Mattia Santori che si è iscritto alla costituente Pd. La Sardina, consigliere bolognese eletto nel Pd da indipendente, ha risposto alla “chiamata” di Letta: «Ho aderito, ma è l’ultima chance». Per il Pd, insomma, arrivare ancora in vita al fatidico appuntamento del 12 marzo non sarà un’impresa facile. D’altronde, Letta-occhi di tigre aveva avvisato tutti, parlando di «traversata nel deserto». Almeno questa previsione sembra proprio averla azzeccata.